Il Messaggero, 6 maggio 2021
Il futuro è il podcast. Michele Rossi spiega perché
Ha scoperto Silvia Avallone e per primo ha lanciato le influencer in cima alla classifiche di vendita, facendo arricciare il naso a un bel po’ di intellettuali, o pseudo tali. Diciotto anni alla Rizzoli, le vittorie del Premio Strega di Walter Siti (2013) ed Edoardo Albinati (2016), le ha centrate mentre dirigeva la narrativa italiana. Michele Rossi, il golden-boy dell’editoria italiana, figlio della provincia perugina (Città di Castello, 1977), ha cambiato vita con una mossa a sorpresa, in piena pandemia, lasciando la corazzata del primo gruppo editoriale del nostro Paese per tuffarsi nel mondo dei podcast, «un territorio di libertà creativa assoluta». Oggi è Head of Publishing di Choramedia, neonata startup fondata da Mario Calabresi (ad e direttore), Mario Gianani (mente di Wildside, casa di produzione artefice dei successi di The Young Pope, Speravo de morì prima e tanti altri), il finanziere-scrittore Guido Maria Brera (quello del best seller I Diavoli, poi diventato anche serie di Sky) e Roberto Zanco (ad di Redseed, marchio specializzato in start-up digitali), una realtà che vuole imporsi sul mercato e ha già prodotto i podcast di Paolo Giordano, Selvaggia Lucarelli, Chiara Gamberale, Andrea Delogu, Caterina Balivo ed Enrico Mentana. Per la prima volta dopo aver lasciato Segrate, Rossi si racconta: «Il futuro sarà nel segno dell’avanguardia e delle collaborazioni con le aziende. Punteremo a sviluppare nuovi progetti editoriali, da cui potrebbero nascere nuovi libri, nuove serie tv, nuovi documentari. E anche nuovi film, ovviamente».
Nel 2014 disse La sbornia dell’editoria è finita, quindi pensava da tempo di cambiare aria?
«No. Dopo diciotto anni, però, si diventa maggiorenni. Quando mi è arrivata la proposta di Chora, non ho avuto incertezze».
Primo impatto?
«Euforia. Segrate è una galassia ma entrare in una startup ti cambia la prospettiva di vita».
Per molti italiani i podcast sono un oggetto sconosciuto: perché si è lanciato in questa avventura?
«Perché i podcast sono un territorio di libertà creativa assoluta, uno spazio di sperimentazione per arrivare al pubblico. E questo è il lavoro dell’editore, a prescindere dai supporti. Questo è il mio lavoro».
Cos’hanno i podcast di diverso dai libri?
«I libri possono tutto ma i podcast gli danno una vita in più».
Si spieghi meglio
.«Ci sono libri già editi che diventeranno podcast e altri podcast – o l’idea attorno al quale ruotano – che potrebbero diventare altri format. Stiamo già parlando con diversi editori».
Sia sincero: si guadagna?
«Quest’anno avremo prodotti totalmente free e altri che realizzeremo in collaborazione con brand, come Nodi, il podcast di Andrea Delogu, fatto con un’azienda farmaceutica. I soldi arriveranno lavorando con i broadcaster. Detto questo, dobbiamo abbandonare la gratuità assoluta, o ne risente la qualità».
L’obiettivo della sua azienda?
«Produrre i podcast migliori d’Italia. La sfida è la ricerca dell’equilibrio, da fare con autori sconosciuti e nomi noti».
Tipo? Anticipi qualcosa
.«È in arrivo il podcast La città dei vivi di Nicola Lagioia, non sarà il romanzo ma un’estensione del dominio della lotta, con una prospettiva diversa. E poi Sandro Veronesi racconterà grandi episodi sportivi, con un progetto iperrealistico e immaginifico».
I libri come se la passano?
«Questa è una fase di transizione culturale, l’ennesima. È il momento di fare scelte più oculate: meno fuffa e più qualità. Quella, in un modo o nell’altro, paga sempre».
In testa alla classifica c’è una influencer, Camihawke. Qualità o marketing?
«Il mio mantra è semplice ed è sempre lo stesso: l’editore propone, il pubblico sceglie. Bisogna sempre provare a capire cosa desiderano i lettori, senza giudicarli».
Un esempio?
«Pensi al libro dei Q4, scritto dal premio Strega Walter Siti (Fratelli per caso La storia dei Q4). È stata una scintilla inattesa. Finita al primo posto».
Rizzoli è entrata a far parte del Gruppo Mondadori nel 2015. La concorrenza interna tra i marchi funziona o no?
«La concorrenza fa sempre bene e io ho sempre avuto una libertà creativa assoluta. Lo dimostra il fatto che ho creato la collana Nero Rizzoli, spingendo sia Silvia Avallone che Elisa Maino».
Scegliere le candidature allo Strega era un incubo?
«È normale che ci fosse concorrenza ma a Segrate tutti hanno sempre remato nella stessa direzione per vendere i libri».
Silvia Avallone l’ha inventata lei?
«Nessuno inventa nessuno. Gli autori esistono e tu, al massimo, ci inciampi sopra. Io sono solo quello che ha tanto combattuto per Silvia, questo sì».
L’incontro professionale che le ha cambiato la vita?
«Con Stefano Magagnoli, nel 2006. Ero un pirla e lui mi ha fatto capire cosa significa essere un editore. E poi ci sono quegli autori che mi hanno fatto crescere professionalmente, come Silvia Avallone, Maurizio De Giovanni, Gianrico Carofiglio».
La lezione più importante?
«Sono laico, ho i miei gusti personali ma non mi lascio influenzare. Se guardo solo le classifiche arrivo terzo. Bisogna avere il coraggio di sentirsi in pericolo e ascoltare l’istinto del lettore».
La letteratura, oggi, cosa deve fare?
«Spingerci nelle zone proibite. Anche il podcast lo rende possibile».
La sua ossessione?
«Scoprire un progetto editoriale inatteso, come lo sono stati Acciaio o Resistere non serve a niente, che vada in testa alla classifica. Vengo dall’Umbria, ho la sindrome dell’impostore e la maggior parte delle cose professionali che ho fatto non erano possibili. Sono tranquillo solo se porto pubblico e fatturato».