ItaliaOggi, 5 maggio 2021
Il Csm non sarà modificato. Parola di Carlo Nordio
«Questo Parlamento non ha nessuna intenzione di fare la riforma del Csm», che è il punto di snodo di tutti i recenti scandali che hanno riguardato la magistratura. A dirlo è Carlo Nordio, ex procuratore aggiunto di Venezia, protagonista di storiche inchieste, dalle Br venete a Tangentopoli. Due le ragioni: «La prima è che i politici continuano ad aver paura dell’enorme potere delle procure, e visti i precedenti è un timore fondato. La seconda, continuano a sperare di eliminare l’avversario per via giudiziaria. Il caso Salvini è emblematico».
Domanda. In una nota il Csm ha spiegato perché non fu aperta una pratica sulla cosiddetta loggia Ungheria, a cui sarebbe iscritti magistrati ed esponenti delle istituzioni che si scambiavano favori, di cui pure era giunto a conoscenza. Il vicepresidente Ermini dice: «Il Consiglio opera solo sulla base di atti formali». Tesi sostenibile a suo avviso?
Risposta. Assolutamente si. Infatti l’errore, a dir poco, del Pm di Milano è stato di essersi rivolto informalmente a un consigliere di sua scelta del Csm; e quello di Piercamillo Davigo è stato di non aver trasmesso gli atti all’ufficio di Presidenza del Csm. Fermo restando che comunque quei verbali secretati non potevano essere divulgati.
D. Ma il segreto istruttorio esiste anche nei confronti del Csm?
R. Certo che esiste. Può solo venir meno se c’è un’indagine in corso nei confronti di un magistrato: allora il capo dell’ufficio – non certo un singolo sostituto – è obbligato a informare il Csm – ovviamente in via ufficiale – al fine di verificare le condizioni per l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dell’indagato. E deve farlo con una relazione esplicativa, non certo mandando tout court un verbale di contenuto, per così dire, plurimo.
D. Che idea si è fatto dell’affaire Ungheria?
R. Credo sia da prendere con le pinze, visto che proviene da un personaggio assai ambiguo. Secondo me il procuratore di Milano Francesco Greco ha fatto bene a non iscrivere subito le persone ivi menzionate nel registro degli indagati. Naturalmente quelle dichiarazioni andavano sottoposte subito alle necessarie verifiche. Non so però se queste siano state fatte, e con quali risultati.
D. Perché i verbali del caso Ungheria, che stanno circolando nelle redazioni, non sono stati ancora pubblicati almeno in parte dalla stampa?
R. Perché una volta tanto la stampa ha osservato la legge, che ne vieta la pubblicazione, a maggior ragione quando la loro provenienza è così ambigua. Purtroppo, però, questo principio non è mai stato rispettato, e quindi c’è il ragionevole sospetto che questa cautela di chi ne è possesso non sia dovuta tanto al rispetto della legge, quanto a considerazioni di opportunità. Qui ognuno può trarne le conclusioni che crede, e tutte sono verosimili.
D. La pubblicazione di atti ancora secretati è diventata ormai una consolidata abitudine dopo l’avviso di garanzia all’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Per il giornalista fa fede il segreto professionale, per i magistrati qual è lo scudo?
R. Lo scudo dei magistrati è che dovrebbero indagare su sé stessi. Nel caso citato dell’informazione di garanzia a Berlusconi i depositari di quel segreto erano i magistrati della procura di Milano, i loro collaboratori amministrativi, e coloro che dovevano procedere alla notifica. Non mi risulta che siano state fatte indagini su nessuno di questi tre gruppi. Non mi risulta nemmeno che sia stato interrogato il direttore del Corriere della Sera sulla fonte informativa. Naturalmente si sarebbe avvalso del segreto professionale. Ma è significativo che nessuno glielo abbia mai chiesto.
D. Tutti gli ultimi scandali che riguardano la magistratura, a partire dal caso Palamara, passano per il Csm. Che fine ha fatto la riforma di cui pure si era parlato durante il governo Conte2?
R. Quello che si immaginava, e che proprio su queste pagine ci siamo detti più volte: assolutamente nulla. Questo Parlamento non ha nessuna intenzione di fare una riforma radicale.
D. Perché?
R. Per due ragioni: la prima che i politici continuano ad aver paura dell’enorme potere delle procure, e visti i precedenti è un timore fondato. La seconda, continuano a sperare di eliminare l’avversario per via giudiziaria. Il caso Salvini è emblematico: prima l’autorizzazione a procedere viene negata perché è tuo alleato di governo, poi, in due casi assolutamente identici, viene concessa perché è tuo avversario. È una strumentalizzazione della giustizia che, da magistrato, ho sempre considerato ripugnante.
D. Attendere che sia la magistratura stessa a indagare sui rapporti di alcuni suoi esponenti con politici e imprenditori non è velleitario a questo punto?
R. Si e no. Da un lato solo la magistratura può indagare su sé stessa, come solo un chirurgo può operare un paziente che sia un chirurgo. Tuttavia le opacità, e le cointeressenza emerse prima nel caso Palamara e ora in questo pasticcio suggeriscono l’intervento di un’indagine parlamentare. Non con intenti punitivi, come qualcuno ad arte dice di temere, ma semplicemente per chiarire molti comportamenti che magari non costituiscono reato – e sui quali quindi la magistratura non sarebbe nemmeno legittimata a indagare – ma che riflettono quelle anomalie per cui le riforme sono necessarie ed urgenti.
D. L’attenzione anche mediatica in questi giorni è sul ddl Zan contro le discriminazioni sessuali, da giurista come giudica l’intervento?
R. Sulla legge Zan mi limito a dare un giudizio tecnico: è troppo generica. La caratteristica di una norma penale è la sua tipicità, cioè la definizione della struttura del reato e delle eventuali aggravanti. Questo obiettivo si raggiunge solo attraverso una perfetta individuazione lessicale, che impedisca ambiguità interpretative. Va detto che il codice Rocco – quello ancora in piedi, firmato da Mussolini e dal re Vittorio Emanuele – aveva molti difetti determinati dalla sottostante ideologia fascista, ma aveva il pregio di essere tecnicamente perfetto. Anche perché, prima di licenziarlo, era stato riveduto da validi letterati e glottologi proprio per facilitare il giudice nella sua applicazione. Questo principio è stato progressivamente abbandonato, e oggi la gran parte delle norme è scritta male.
D. E ne caso del progetto Zan?
R. Nel progetto Zan i due concetti di orientamento sessuale e di identità di genere sembrano presi più dalla polemica televisiva che da definizioni tassative e condivise. Per fare un esempio, anche la pedofilia e il sadomasochismo fanno parte dell’orientamento sessuale. La conseguenza paradossale sarebbe dunque quella di tutelare anche queste perversioni come gli altri valori che invece la norma nella sua origine intendeva proteggere. Inoltre si conferirebbe un ulteriore arbitrio alle procure nell’inizio di indagini, con contrasti giurisprudenziali che allungherebbero a dismisura i processi.