Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2021
Pandemia e bambini: problemi espressivi a 5 anni
Gli effetti psicologici della pandemia sui bambini sono ancora tutti da esplorare. Ci vorranno anni prima di poter capire, dati alla mano, quali sono state le conseguenze provocate dai lockdown disposti un po’ ovunque nel mondo sulla crescita e sulla salute cognitiva dei piccoli. Diversi studi hanno già rivelato come il coronavirus li abbia esposti a depressione, ansia, irritabilità, inappetenza e disattenzione, soprattutto se già affetti da disturbi del comportamento come l’autismo.
Una recente ricerca dell’associazione Education Endowment Foundation di Londra ha aggiunto alla lista delle reazioni osservate tra i bambini di età compresa tra i quattro e i cinque anni anche ritardi nello sviluppo del linguaggio che potrebbero avere ripercussioni a lungo termine sulla qualità dell’apprendimento e sullo sviluppo della personalità. Gli esperti ritengono che la lontananza forzata dai nonni, il distanziamento sociale, l’assenza degli amichetti con cui giocare e l’uso della mascherina negli spazi pubblici abbiano ridotto drasticamente le occasioni in cui, a quell’età, i piccoli si cimentano nelle prime conversazioni privandoli della possibilità di esprimersi, di porre domande e di imparare parole nuove, diverse da quelle legate all’emergenza sanitaria come «lockdown», «congiunti» o «quarantena». I bambini che, sui 50mila totali coinvolti nella ricerca, hanno manifestato problemi di comunicazione sono il 25%. Tendenza confermata da presidi e maestre: il 76% delle scuole elementari inglesi interpellate per lo studio ha segnalato di aver dovuto incrementare per l’anno in corso l’assistenza al miglioramento del linguaggio e i servizi di logopedia. L’analisi ha fotografato, seppure in maniera parziale, un disagio di cui il governo britannico pare voglia farsi carico stanziando un fondo da 18 milioni di sterline per le attività di recupero dedicate a questa fascia d’età e allargando a 6.672 istituti il programma di aiuto allo sviluppo delle abilità comunicative, il Nuffield Early Language Intervention, sviluppato dalle università di Oxford e York. Saziare la ’fame di parole’ dei bambini, grave o moderata che sia, in una fase così delicata della loro crescita è importante, sottolineano gli psicologi, perché siano in grado di dire ciò di cui hanno bisogno, di raccontare il mondo che li circonda e, perché no, di spiegare anche ciò di cui hanno paura.Da ciò dipende anche l’abilità di imparare a leggere e a scrivere, possibilità che secondo l’Unicef la pandemia, e la conseguente chiusura prolungata delle scuole, ha precluso per un anno a circa 200 milioni di bambini nel mondo, soprattutto nei paesi più poveri, come Panama, El Salvador, Bangladesh e Bolivia, dove la didattica a distanza è spesso un miraggio considerata la difficoltà di accesso alla rete e alle tecnologie.