La Stampa, 5 maggio 2021
Intervista a Filippo Ganna
Quattro tappe per cambiare uno stereotipo. Filippo Ganna si è presentato allo scorso Giro da campione mondiale a cronometro e se ne è andato, dopo un poker di successi, da uomo per cui tifare, anche se lui giura che una grande corsa a tappe «non la posso proprio vincere». In effetti è improbabile, raggiunge il metro e 93, pesa più di 80 chili, non può essere uno scalatore eppure resta quello da guardare.Promesse per questo Giro?«Vorrei rifare tutto quello che mi è riuscito nel 2020 e godermelo ancora di più».Che cosa è il Giro d’Italia per Ganna?«Tornare bambino, agli anni in cui uscivo da scuola e correvo a casa per vedere in tv l’arrivo della tappa».Ricordo più vivo?«La volta in cui sono andato in strada ad aspettare Bettini, mi è piaciuto tutto. La gente, la botta di morale che avvertivi subito sui ciclisti quando passavano in mezzo alla folla. L’attesa, le chiacchiere, le emozioni».Quali emozioni le ha dato la maglia rosa?«Vorrei ripartire al massimo proprio per rimetterla. È un simbolo, uno dei più forti che ci sia e non parlo solo di ciclismo. Tenerla, meritarla, ti fa sentire onorato e responsabile... scatena il meglio che hai».Con la sua stazza e il suo sorriso ha cambiato il ciclismo?«Mah, Moser e Indurain avevano un gran fisico, ogni periodo modella il suo ciclista ideale».Loro sorridevano poco.«E vincevano tanto. Diciamo che io in pianura faccio meno fatica degli altri e in salita il doppio, ma oggi il ciclismo è globale e si sono mischiate le caratteristiche: esistono scalatori che vincono in volata, muscolari che strappano in salita. Le nuove generazioni sono micidiali e il pronostico non vale più».Lei sta in una squadra di campioni, che ruolo ha?«La Ineos mi ha chiesto di essere la colla, faccio gruppo, distribuisco morale».Non è riduttivo?«È importante e lo sanno fare in pochi. La testa può spesso più della gamba. Sono l’addetto al buon umore, dote naturale».Questo Giro passa da casa sua, Verbania. Che effetto fa?«Aggiunge motivazioni per arrivare in fondo perché è la ventesima tappa e poi gareggiare sulle strade in cui ho iniziato è un po’ un film, dalla Delta Verbania a una delle corse più importanti di questo sport».Come ci si prepara per un Giro e per le Olimpiadi in contemporanea?«Si fa fatica. Per la pista servono allenamenti brevi e intensi, se fai tanta strada quando cambi diventi un po’ trattore, però procedo senza stress. Il tempo per rifinire i singoli lavori ci sarà».Dei Giochi del 2016 ha detto: «Ci hanno chiamato per l’ultimo rigore».«È vero, io quella telefonata quattro giorni prima del via non la dimentico. Il ct andava avanti per periodi ipotetici, “se facessimo, se fossimo pronti”. Io mi dicevo, “ma di cosa parla? “. E mi sono trovato con un pettorale. Però, visto che malissimo non siamo andati, ci è venuta voglia di riprovarci più preparati».Suo padre è stato ai Giochi del 1984, da canoista: le ha spiegato lui il potere dell’Olimpiade?«Non ne abbiamo mai parlato oppure sì ma nel modo giusto, il racconto di un viaggio».Non è strano?«È strano fissarsi più del dovuto, caricare di aspettative l’esistenza. Lui mi ha detto come era vestito, non certo come si sentiva. Guardi io all’inizio ero uno che si agitava, poi ho smesso. Mi mettevo addosso pressione da solo. Tanto tutto dipende da come arrivi all’appuntamento che conta e lo sai. Nello sport non tiri fuori il coniglio dal cilindro, basta essere sinceri con se stessi».La canoa non l’ha mai provata?«Sì, ma non sono capace di fare i buchi nell’acqua».È passato anche dalla pallavolo, di solito i ciclisti salgono in sella e basta.«Io ho sperimentato e oggi sono ancora più motivato ad andare sempre fino alla fine. Provare più discipline mi ha insegnato a non mollare che è la filosofia comune a tutte».Lei non segue il calcio, gioca a Fortnite, come si vede da Instagram. Era lo spettatore ideale della Super Lega.«Volevano conquistare il mondo e si sono incagliati all’isola d’Elba. Forse poteva essere pure divertente, almeno per uno come me, distaccato. E non mi pare proprio che il pallone abbia bisogno di soldi. Se loro si lamentano gli altri settori che dovrebbero fare? Non vivono di sola passione».Tutti vanno in bicicletta, pubblico competente?«Ci sono i pro e contro. La spinta è verace solo che a volte trovi quello che ti dice “io quel pezzo di strada l’ho fatto più veloce”. E io magari ci arrivo con 200 km in spalla».La tappa più esaltante?«Tutte quelle in cui ho messo il numero».La volta in cui avrebbe proprio voluto vincere lei?«Non ho il rospone in gola».La rinuncia più fastidiosa?«Ormai i nutrizionisti guardano il grammo di pasta e hanno ragione. Se io perdo 2 chili neanche si vede, ma pedalo in un altro modo. Solo che io mangio qualsiasi cosa ci sia sul tavolo».Va in bici con la fidanzata?«Lei è anticiclismo, fa la commercialista, ogni tanto penso di regalarle una bici, poi soffrirei per la polvere che prende. Il nostro rapporto funziona proprio perché non parliamo mai di corse».Al secondo Giro in tempi di Covid quanto pubblico si aspetta?«Spero che tutti si facciano un esame di coscienza, non solo per il Giro, in assoluto. Stiamo attenti, vediamo di non guastare subito ogni tentativo di normalità. Non voglio partire in un’Italia aperta e arrivare in una rossa. Anche a me piacerebbe fare una sana vacanza, se mi dovessi ritrovare di nuovo chiuso in casa per colpa di gente irresponsabile mi girerebbero le scatole».