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 2021  maggio 04 Martedì calendario

Intervista a Ligabue

«Dalle mie parti si dice così, sto come in tre su una sedia. Scomodo. Come tutti del resto. Il mio mestiere acquisisce senso facendo i concerti, non farli toglie senso anche al vivere. L’astinenza è crudele». Difficile tenere Luciano Ligabue lontano da un palco. Figuriamoci lo stop forzato dalla pandemia che gli ha pure fatto slittare due volte la festa-concertone a Campovolo per i 30 anni di carriera. È lui il protagonista dell’artista-day, l’iniziativa di Corriere e Radio Italia che per una giornata intera celebra un protagonista della nostra canzone.
Il suo Ligabue-day, quello da ricordare sempre?
«Ce ne sono tre. Il primo concerto: avevo 27 anni, non sapevo cosa avrebbe prodotto in me. Ho visto uno schivo diventare sfrontato. Poi ci metto il debutto a s. Siro del ‘97: una testimonianza di inconsapevolezza totale, non ho memoria di quel concerto, ero perso in un’altra dimensione. Infine Campovolo 2015, il più vicino all’idea di perfezione: in genere l’appagamento post show dura un giorno, quella volta una settimana».
Il Luciano-day, invece, quello privato?
«Nel bene – quelli nel male preferisco saltarli – sono stati la nascita dei miei due figli. Lenny è nato prematuro, con parto cesareo, durante le riprese di Radiofreccia. È arrivato dopo la brutta esperienza di un paio di figli persi con la mia ex moglie. Ricordo la tensione prima e il sollievo poi. E poi c’è stata Linda: 17 ore di travaglio, altro che l’intensità di 3 ore di concerto. Se nella vita devo scegliere, butto dalla torre i concerti».
Come ha vissuto questi mesi in casa il papà Liga?
«Ho visto poco Lenny perché non vive con me. Mentre su Linda, adolescente in dad, ho visto un contraccolpo psicologico non indifferente».
La cosa meno rock di questi mesi casalinghi?
«Ho cucinato tanto».
Il suo piatto?
«Fusilli lunghi, la mia pasta preferita, al pomodoro. Faccio un signor sugo e vi assicuro che diventa rock anche un piatto così semplice».
Un anno con più tempo per creare o senza stimoli?
«Sono uno che ha sempre scritto tanto e, fortunatamente per tutti, ha anche buttato via tanto. Stephen King ogni giorno scrivere un tot di parole. Non sono fissato come lui, ma credo che quel metodo mi tenga lì, sul lavoro di scrittura, e a volte finisce che mi sorprendo e da quel magma esce una canzone».
Quello che butta lo cancella per sempre?
«Non lo faccio sentire ad altri per non avere il rischio che piaccia a loro e non a me...».
Il diritto di amare e di essere amato come e con chi gli pare va protetto Chi dichiara che se avesse avuto un figlio gay lo avrebbe bruciato nel forno si commenta da solo
Che fine ha fatto la seconda parte di «Made in Italy», il suo concept?
«Era il mio album più coraggioso e anche quello arrivato meno in termini di gradimento. È nato dopo dei concerti all’estero in cui i nostri connazionali mi raccontavano del sollievo di non essere più in Italia ma anche della loro nostalgia. Ho maturato come mi sentivo rispetto al mio Paese e l’ho sfogato nel mio alter ego Riko. Avrebbero dovuto essere 28 canzoni e si decise di farle in due parti. Dopo la prima, causa stop ai concerti per un polipo in gola, girai il film che però racconta tutta la storia. Il secondo capitolo sarebbe stato cupo, c’era il tentato suicidio, la fuga a Francoforte... Non credo che uscirà mai, non siamo così liberi da poter fare quello che ci pare perché ogni cosa è soggetta a valutazioni, classifiche, che a volte smontano le velleità».
C’è stata polemica per l’intervento di Fedez al Primo Maggio. È accettabile chiedere a un artista di conoscere prima quello che dirà sul palco? Le è mai capitato di sentire odore di censura?
«Se mai avessi avuto sentore di limitazione di parola me ne sarei sempre andato».
Che ne pensa del ddl Zan?
«Da sempre credo che ognuno abbia il diritto di amare e di essere amato come e con chi gli pare. Quel diritto va protetto con ogni misura e attenzione possibile e qualsiasi discriminazione, offesa e violenza contro gay, donne, transgender o disabili va punita a dovere. Chi dichiara che se avesse avuto un figlio gay lo avrebbe bruciato nel forno si commenta da solo».
L’ultimo concerto visto?
«A settembre 2019, in vacanza in Scozia. Sull’isola di Skye sento da lontano un pezzo dei Waterboys e scopro che era il finale di un loro concerto. Il giorno dopo avrebbero suonato a Glasgow e ho mosso mari e monti per andarci. Ho pianto perché mi sono venuti su trent’anni di carriera: quando stavo registrando il mio primo disco a Milano, l’all-in della mia vita, mi portarono a vederli: per me quello resta il concerto della vita».
Quello che vorrebbe vedere quando si potrà?
«Gli U2: sono un fan, ma l’ultimo tour non mi ha tirato dentro. Voglio farci pace».
Cinema, poesie, racconti... A cosa dice no?
«Di recente ho detto no alle musiche per una trasmissione sull’Inter. Niente di più difficile che scrivere un inno. Si rischia la retorica».
Anche adesso che ha vinto lo scudetto?
«Se ogni scudetto è bellissimo questo è stato speciale. Con tutte le difficoltà che hanno avuto, si sono messi a fare squadra in tutti i sensi. Spero rimangano tutti lì. Magari ad aprire un ciclo».