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 2021  maggio 04 Martedì calendario

Cingolani ha idee poco green

Avanguardistico è avanguardistico, il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Ed è un bene: non è col luddismo che si progredisce. Eppure, nello sforzo verso un mondo più verde grazie agli ultimi ritrovati della tecnologia, pare esserci poca attenzione, volente o nolente, ai dettagli che fanno la differenza. Così da giorni ambientalisti, movimenti e qualche politico segnalano le contraddizioni del ministro e del Pnrr. I macro-temi di contrasto sono ricorrenti: idrogeno, rinnovabili, nucleare. Per ognuno c’è qualcosa che non quadra.
L’idrogeno, ad esempio, è il prodotto di punta della nuova comunicazione “green”, passato rapidamente da fonte di energia sconosciuta ai più a destinataria di 3,1 miliardi di euro in 5 anni. I problemi, da qui in poi, sono diversi. Il primo: una vera transizione ecologica deve produrre idrogeno da fonti rinnovabili (idrogeno “verde”). Cingolani ne parla come se fosse prioritario, ma dal suo Piano non pare proprio. Nell’intervista al CorSera di ieri, in cui prospetta una transizione a colpi di grossi compromessi, dice che “non ci sono soluzioni facili” e che “tutti devono capire che la sostenibilità ha dei costi, non solo economici” e che non ci si può rinunciare solo perché “l’idrogeno da metano produce troppa CO2”. Una incidentale, tra altri esempi, che scopre un nuovo problema: fino a che produrre idrogeno con le rinnovabili non sarà conveniente, semplice e veloce per il mercato, bisognerà utilizzare il gas naturale.
Ma il mercato è definito anche da riforme e investimenti sulle rinnovabili. Secondo le stime delle associazioni ambientaliste, per mantenere la traiettoria di decarbonizzazione prevista per il 2030, l’Italia deve incrementare lo sviluppo delle rinnovabili per circa 6mila megawatt l’anno. Eppure, il Pnrr prevede risorse per soli 4mila MW in cinque anni. Nonostante alcuni passi avanti (smart grid e agrovoltaico) mancano poi novità sulla regolazione e la fiscalità energetica: “Permetterebbero di trasformare l’incentivo in una politica di sviluppo – spiega Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – mentre solo 200 Megawatt con 680 milioni sono destinati allo sviluppo di rinnovabili incluso l’eolico off-shore”. Ci si aspetta che il mercato faccia da sé “che andrebbe anche bene – conclude Onufrio – ma solo se almeno per il primo anno si riuscisse a spingere e a incentivare le rinnovabili ferme da un decennio”.
A guadagnare da questa impostazione sono i petrolieri. Il piano industriale dell’Eni è fortemente concentrato sul gas e include la produzione di idrogeno con la cattura dell’anidride carbonica nei pozzi in disuso (tecnica sperimentale e con rischio di fenomeni microsismici). Produrre idrogeno così (idrogeno blu) costa molto meno che produrlo verde, 2 euro contro 4/6 euro. L’alternativa sarebbe investire di più sugli elettrolizzatori che producono idrogeno dall’acqua favorendone la diffusione e abbattendo così costi e prezzo dell’energia. Anche la concorrenza ne gioverebbe: l’acqua è a disposizione di tutti, il gas no.
Infine il nucleare. Cingolani ne parla spesso riferendosi alla tecnica di produrre energia con la fusione, lo stesso principio con cui si alimentano le stelle. L’Italia sta partecipando a una sperimentazione europea, i cui esiti non vedranno la luce prima del 2050. Ma ieri sul Corriere, il ministro è parso possibilista (“va valutato il da farsi”) pure sui “reattori container” su cui punta la Francia. Nuovo problema: il nucleare in Occidente è in crisi profonda, tanto che in Usa e nella stessa Francia, la strategia è chiedere di estendere la vita degli impianti che hanno più di 40 anni o puntare sulle grandi taglie per ridurre i costi. Insomma, i “container” moltiplicherebbero i pericoli e sarebbero pure antieconomici.