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 2021  maggio 03 Lunedì calendario

Il virus non tratta, la sua funzione vitale è moltiplicarsi. Se trova strade sbarrate, non è programmato per arrendersi ma per cercarne altre

Non è finita quando lo decidiamo noi. È finita quando lo decide lui, il virus. Non è come nelle guerre che abbiamo conosciuto e che si concludono con un accordo tra le parti, vincitori e vinti, e c’è un giorno X in cui si sancisce la pace.
Qui e adesso la partita della vita, e delle vite umane, si gioca con regole diverse, senza sapere con certezza quanto durerà né quanto ci costerà ancora in termini di sofferenze, rinunce, perdite. Eppure l’Italia del nostro sconforto sembra preda di un miraggio: il Coronavirus se n’è andato e quindi siamo liberi come prima che ci travolgesse, più di un anno fa. Fiumi di gente con la mascherina abbassata, ma ormai anche senza, si riprendono con foga incosciente quel che un destino malevolo ci ha tolto per troppo tempo. Distanziamento di almeno un metro? Lavarsi le mani a lungo e per bene? Ma chissenefrega. E sbrigatevi a toglierci quel patibolare coprifuoco alle 10 della sera, che non se ne può più di restrizioni imposte dall’alto: lo invocano a gran voce partiti e partitini della maggioranza, ingolositi dal rendiconto elettorale che cavalcare il risentimento popolare sempre garantisce. Senza dimenticarsi del caffè al banco, non da bere fuori, altrimenti che piacere è. Libertà, libertà, e se ci scappa qualche altro centinaio di morti al giorno, se invece che 120 mila le vittime diventeranno 130 mila o più, guardiamo avanti che è già tardi, tanto adesso c’è il vaccino.
Fretta comprensibile di ripartire, ma attenzione agli strappi al motore. Vero che la pandemia ci è già costata 900 mila posti di lavoro, con la prospettiva che la cifra cresca ancora di molto, colpendo soprattutto donne, giovani, partite Iva, migranti, con il Sud che vede accrescere a dismisura una deriva già conclamata. Vero che i vaccini cominciano a marciare al passo auspicato dal generale Figliuolo. Vero anche che la curva dei contagi decresce. Lentamente però, e avere ancora 146 casi su 100 mila abitanti è meglio dei 157 della settimana scorsa ma è numero lontano dai 50 casi che rappresenterebbero la quota necessaria per dichiarare che l’epidemia è sotto controllo. E poi ci sarebbero le varianti, quella inglese su tutte, poi la brasiliana e ora l’indiana, più la crescita non confortante di bambini contagiati tra 0 e 9 anni (siamo a 200 casi per 100 mila abitanti).
Il virus non tratta, la sua funzione vitale è moltiplicarsi. Se trova strade sbarrate, non è programmato per arrendersi ma per cercarne altre, attaccando fasce d’età non ancora protette. L’età media dei nuovi casi si è abbassata a 42 anni, quella dei ricoverati a 66. Travolgere le barriere delle precauzioni, trasformandole in divieti da abrogare, spiana la via a ritorni di fiamma che rischiano di bruciare, oltre alla nostra salute, anche i laboriosi piani di rinascita nazionale appena spediti a Bruxelles. Sono basati, quei progetti, su tempi di realizzazione che non contemplano brusche e durevoli interruzioni. Contribuire più o meno consapevolmente a comprometterne l’avvio non rende un grande servizio a un Paese che di riavviarsi ha un impellente e indifferibile bisogno.
I virologi, quelli seri almeno, concordano sul fatto che forse valeva la pena aspettare ancora qualche settimana prima di prendersi il «rischio ragionato», come ha detto il premier Draghi, di aprire quasi tutto, ridipingendo il Paese di giallo. Al di là delle intenzioni, il messaggio che pare arrivato, purtroppo, non include la ragionevolezza ma lascia campo libero al rischio, che così diventa incalcolabile. L’effetto congiunto di logoramento da limitazioni e voglia di riprendersi il tempo perduto sembra stia scatenando la reazione di chi, reduce da lungo digiuno, pensa di cancellare la fame ingozzandosi di cibo. E finché in gioco c’è la salute del singolo, ciascuno fa i conti con la propria capacità di gestirsi. Ma qui il gioco è collettivo, ogni nuovo «positivo» aumenta la possibilità di innescarne molti altri, in una spirale al peggio che difficilmente si arresterà da sola, meno che mai contrapponendo l’illusione che il male sia scomparso alla realtà, assai meno radiosa, dei numeri e dei fatti.
Abbiamo pagato un prezzo esorbitante al «godetevi l’estate» del 2020: il 3 agosto eravamo scesi a più 159 contagi in un giorno, due mesi e mezzo dopo erano già schizzati a più di 7 mila, e la seconda e la terza ondata dovevano ancora sprigionare tutta la loro devastante potenza. Però adesso ci sono i vaccini, che è un vantaggio indubitabile e speriamo decisivo. Ma proprio per non comprometterne l’efficacia, anzi estendendo al più presto la copertura anche alle categorie meno tutelate, forse non sarebbe sbagliato un richiamo forte e autorevole ai doveri civili che convivere con una pandemia comporta. Non possono diventare eccezioni quelli che rispettano le precauzioni. Le eccezioni dovrebbero essere gli irresponsabili del «basta così», sia che sciamino smascherati per vicoli e ritrovi sia che si esibiscano dalle poltroncine rosse del Parlamento.
Pare che non sia questo il momento di affrontare temi divisivi, o almeno così sostengono esponenti del multipartito che compone l’esecutivo. E infatti con questo alibi si evita qualsiasi confronto, per non scontentare la destra o la sinistra, a turno. A sottendere questo patto implicito, un primo grande obiettivo comune: sconfiggere la pandemia. Benissimo, ma come? Affidandosi alla Provvidenza, dando copertura politica al rumoroso fronte dei no-mask, no-vax, no-lex, oppure richiamando la nostra comunità al rispetto dovuto, anzi obbligato, alle norme mondiali di contenimento del virus? Questo, adesso, è il problema. E il governo Draghi, pure a rischio di dividersi, non può aggirarlo. Il confine tra convalescenza e ricaduta è sottilissimo.