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 2021  maggio 03 Lunedì calendario

La nuova vita del Colosseo

Mentre i social sono ormai diventati l’agorà, l’arena e l’anfiteatro del terzo millennio, per paradosso ci riappropriamo del Colosseo, la cui nuova vita è stata ieri presentata dal ministro Franceschini. Nell’era in cui sangue e interiora non scorrono più dal vivo ma in pixel e kbyte, può ben starci che per il tempio dei gladiatori si schiuda una nuova stagione di folle festanti, ipotesi che attualmente suona ai limiti del criminale per la crasi pandemica fra aggregazione e assembramento. Tant’è, siccome dovranno pur venire tempi migliori (ma ci accontenteremmo di tempi normali), perché non respirare a pieni polmoni all’idea di un Colosseo restituito alle masse oltre che alle comitive? Di nuovo pavimentato con un sofisticato sistema in legno e protruso di carbonio (che lascerà visibili e anzi più aerati gli ipogei), il simbolo di Roma dovrebbe infatti passare dal (quasi) esclusivo status di celebrità archeologica a quello di spazio multiplo, disponibile anche per eventi, spettacoli, concerti e chissà cos’altro, come avviene d’altra parte nei teatri greci millenari di Epidauro, di Siracusa, oltre che in tanti fratelli minori dell’anfiteatro flavio, come a Verona o a Nîmes nella Camargue.
È una buona notizia? Al di là dei prevedibili strali scagliati da chi propugna la tutela a oltranza delle vestigia del passato, desiderandone la conservazione pressoché ermetica, è chiaro che l’occasione si presta per una riflessione sul ruolo sociale di questi “sopravvissuti” della Storia. Il Colosseo è nato quasi duemila anni fa come un luogo di ritrovo e di condivisione, oltre che di celebrazione del potere politico (celebre la frase di Cicerone sul panem et circenses che garantivano l’appoggio delle masse), esattamente come la Basilica di San Marco a Venezia prese forma nel IX secolo per ospitare il corpo di San Marco trafugato in Egitto e nascosto in una cassa piena di carne di maiale affinché i doganieri arabi non vi frugassero. Tuttavia, nessuno si sognerebbe mai di proibire il culto nella più famosa chiesa veneziana per preservarne l’equilibrio già tanto a rischio per secoli di acque alte: la perpetuazione della funzione liturgica costituisce una condizione essenziale e non scindibile dal valore artistico e storico, per cui si permette eccome che in San Marco – o in San Pietro a Roma o in Sant’Ambrogio a Milano – non solo ardano ceri e candele, ma si installino impianti di amplificazione per l’omelia e i canti del coro. Analoga sorte tocca ai palazzi storici del potere laico, e sono tantissime le amministrazioni comunali del Belpaese che da secoli si passano la staffetta in autentici scrigni d’arte, cosicché il sindaco di Firenze entra ogni mattina a Palazzo Vecchio, quello di Roma nel Campidoglio michelangiolesco, e il primo cittadino di Bologna nel trecentesco Palazzo d’Accursio. Tutto questo a me pare entusiasmante: luoghi concepiti dai nostri antenati per un determinato uso, continuano a incarnarne l’importanza e la stessa trasmissione nel tempo. Ciò tuttavia non dovrebbe valere per lo spettacolo. Certo, conosciamo bene la fama deteriore che al Colosseo toccò in sorte proprio per la sua immonda funzione di intrattenimento, per cui si trovò affibbiata perfino la leggenda che vi abitasse il Demonio. Dopodiché, per riabilitarne la dignità, si susseguirono nei secoli i più stravaganti progetti di conversione a spazio di culto, finché nel 1744 fu Benedetto XIV a consacrarlo alla Passione di Cristo con le edicole della Via Crucis.
Anzi, visto che ci siamo tentiamo un falso storico: immaginiamo per un attimo che nel tardo Seicento il Bernini avesse davvero realizzato il grande santuario che era lì lì per sorgere sull’antica arena. Oggi avremmo una basilica imponente, dove andare a sederci su una panca fra i fumi dell’incenso, e magari tirare manciate di riso agli sposi. Viceversa, abbiamo ancora un anfiteatro di età flavia, nel quale potremmo di nuovo sederci per seguire uno spettacolo. È una bestemmia? Nossignore, semplicemente è ciò per cui nacque, non per i turisti, non per i fedeli, ma per gli spettatori. Perché toh, si dà il caso che anche lo spettacolo, piaccia o non piaccia, sia uno dei bisogni essenziali dell’essere umano.