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 2021  maggio 03 Lunedì calendario

Tv, pane e censura


C’è sempre troppa ipocrisia sulla censura in Rai. Per cui anche a costo di sembrare brutali, ma senza tema di smentite, si può dimostrare come nel corso del tempo l’azienda del servizio pubblico sia stata considerata terra di conquista; ne consegue che il conquistatore di turno grosso modo fa quello che gli pare, e quindi taglia, cuce, stravolge, sospende, insabbia, annulla e tante altre cosette a seconda delle convenienze politiche, per così dire.
E di nuovo non è per fare il Pierino, ma detto questo, è detto tutto.
Anche se a viale Mazzini devono negarlo. Perciò ieri è toccato a Salini, quantomai traballante; così come l’altro ieri, nel giugno 1974, fu Ettore Bernabei, il più saldo e preveggente dominus del baraccone di viale Mazzini, a rispondere ad Alberto Moravia: «Alla Rai non esistono organi né attività di carattere censorio». In realtà neanche vent’anni prima era addirittura vietato l’uso di parole come “delitto”, “divorzio”, “amante”, “figlio illegittimo”. Dai mutandoni vaticani imposti alle gemelle Kessler alla cacciata di Tognazzi-Vianello per uno sketch su un capitombolo di Gronchi all’Opera, dall’allontanamento di Dario Fo e Franca Rame per una scenetta sugli incidenti sul lavoro a certi lavoretti sulle inchieste e le complicità del potere nella stagione delle stragi, la censura si era già ampiamente rivelata figlia della paura e madre dell’ignoranza. Ma proprio per questo bisognava insediarla in modo che ognuno lì dentro la avvertisse come un indispensabile elemento del paesaggio.
Significativi suonano in questo senso gli argomenti e i moduli dei censori nella telefonata registrata da Fedez. Si tratta di persone anche rispettabili, ma purtroppo messe lì dai politici e come tali minacciate continuamente da altri nuovi potenziali censori portati da opposti politici. Di qui la necessità di mortificarsi implorando chiunque di rispettare questo o quel “contesto”, sperando così di evitare la grana o la buccia di banana che potrebbe essergli fatale. Sennonché la televisione italiana nasce e si afferma a pane e censura e quanti oggi si scandalizzano, quasi certamente ieri l’hanno esercitata e/o domani potrebbero esercitarla, il classico circuito perverso, solo rischiarato dal grottesco che la Rai, perenne Mamma forbiciona, sempre riserva in un paese comico e melodrammatico.
Ammonito agli albori Mario Riva, modificati i testi di Lucio Dalla, espurgati i baci di Albertazzi, biasimati i versacci di Benigni, tagliuzzate le deposizioni dei ministri al processo per piazza Fontana, messi al bando Musatti e Zavattini, esautorata una pernacchia di Gassman, disconosciuto Franco Maresco, bruciati addirittura filmati di don Milani e Pasolini. Non esiste un repertorio completo, ma ad averci qualche ora si potrebbe arrivare a elencare centinaia di casi di censura, tentati e riusciti, sopiti e troncati, forse anche suddividendoli per stagioni politiche e manageriali, porzioni d’immaginario e mandanti palesi e occulti.
Con inevitabile approssimazione si dirà che i dc erano molto attenti al sesso; che Craxi e i craxiani la fecero pagare a Grillo e diedero fastidi a Biagi; che Berlusconi fece l’editto bulgaro, sempre contro Biagi più Santoro e Luttazzi, poi cercando di silenziare i suoi scandali sporcaccioni. Quanto a Renzi, voleva tanto liberare la Rai dai partiti, ma finì per oscurare un certo numero di giornalisti renitenti all’ottimismo di governo inaugurando la figura del gufo martire. Di recente non pare di poter segnalare granché di clamoroso, a parte qualche tentazione politically correct; di qualche mese fa la soppressione, pare, di una sequenza in cui Elettra Lamborghini faceva lezioni di twerking a Loredana Bertè. Molto più divertente, al bel tempo che fu, la censura contro l’Otello che si scagliava contro Desdemona dandole della “puttana”. Gli archeo-burocrati Rai cambiarono la parola in “farfallona” – che a pensarci suona ancora più oscena.