Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  maggio 03 Lunedì calendario

A Brescia apre un’indagine sui verbali di Amara

Mentre il capo dello Stato Sergio Mattarella si appresta a tornare al Csm di cui è presidente di diritto, a poco più un mese di distanza dall’ultima visita, lo scandalo della diffusione illecita dei verbali e del dossieraggio anonimo intorno alla presunta loggia segreta Ungheria «rivelata» dall’avvocato d’affari Piero Amara registra la discesa in campo di un’altra Procura. Dopo Milano, Roma e Perugia, anche Brescia si appresta, entro questa settimana, ad aprire un’inchiesta «a largo raggio», ricostruendo sia i motivi e le eventuali responsabilità dei conflitti nella Procura di Milano, sia l’intera filiera della circolazione sotterranea dei verbali lungo un asse che coinvolge diverse istituzioni «da Milano a Roma».
In primo luogo, dunque, l’inchiesta di Brescia (competente sui magistrati milanesi) ricostruirà l’uso che il pm Paolo Storari fece, nella primavera 2020, dei verbali (segretati) di Amara, portandoli all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Ma non trascurerà le molteplici interlocuzioni (anche scritte) tra lo stesso Storari e il procuratore di Milano Francesco Greco, a proposito delle dichiarazioni di Amara su cui il pm voleva immediatamente aprire un fascicolo per verificarne l’attendibilità. La Procura di Brescia dovrà valutare se nel comportamento di Greco, supportato dai due aggiunti Pedio e Romanelli, si possa configurare un’inerzia colpevole a danno della tempestività delle indagini sulla presunta loggia.
È questa la tesi ancora oggi proclamata da Storari («Per sei mesi non si è fatto nulla») e che allora lo indusse a rivolgersi all’amico Davigo per concordare una strategia di «autotutela» e una mossa utile a smuovere la situazione. Così nacque l’idea di consegnargli i verbali di Amara, per investire della questione il Csm, sia pure in modo informale se non irregolare.
Gli incontri Storari-Davigo furono almeno due. Uno sicuramente a Milano. Non è escluso che l’altro si sia svolto a Roma, dopo il lockdown. In ogni caso i verbali di Amara, sotto forma apocrifa di file word in bozza, nel maggio 2020 erano a Roma nella stanza di Davigo. Si capisce, quindi, che l’inchiesta bresciana potrebbe arrivare a bussare al Csm. Per capire, anche sulla base delle dichiarazioni di Storari e Davigo, quanti altri membri ne avessero conoscenza (disponibilità?) e in che termini. E quali comportamenti abbiano posto in essere.
Il procuratore generale della Cassazione e membro del Csm Giovanni Salvi ha già spiegato di aver ricevuto da Davigo «nella tarda primavera dell’anno scorso» informazioni sommarie sui «contrasti nella Procura di Milano», senza alcun cenno ai verbali. Fu proprio Salvi a parlarne con il procuratore di Milano Greco, a convocarlo in Cassazione, a promuovere un’accelerazione investigativa coordinandola con le Procure di Roma (dove la presunta loggia avrebbe sede) e Perugia (competente sui magistrati romani citati da Amara in quanto associati).
Più eterea, e potenzialmente pericolosa, la questione dei colloqui tra Davigo e il vicepresidente del Csm, David Ermini. Sul punto Davigo ha negato dettagli, riservandoseli per quando sarà convocato in Procura. Fatto sta che Storari, tra maggio e giugno 2020, si sentiva rassicurato dalla «certezza» che Davigo, ottenendone un riscontro, avesse portato la sua doglianza all’attenzione del vicepresidente del Csm e per suo tramite al Quirinale. Senza che ciò, all’epoca, avesse comportato a suo carico procedimenti per illeciti disciplinari né per incompatibilità ambientale (entrambi adesso inevitabili).
I colloqui tra Ermini e Davigo sul caso Amara furono almeno due, tra aprile e giugno 2020. Ermini li sta ricostruendo in queste ore. Non li nega, ma nega di aver mai avuto in mano i verbali di Amara che pure Davigo portava con sé, anche fuori dalla sua stanza.
Ermini ricorda che il nome di Amara gli fu fatto nel primo colloquio, preannunciato da Davigo per informarlo di una «questione della massima importanza» relativa a un’inchiesta «che coinvolge molte persone importanti». Ermini si inquietò al solo sentire il nome dell’avvocato-faccendiere. Ma nega di aver saputo, in quella prima fase, di un conflitto in Procura su quei verbali.
Il secondo colloquio avvenne a distanza di due o tre settimane. Davigo aggiunse dettagli (anche sui verbali?), riferì dei contrasti in Procura e di averli portati a conoscenza anche di Salvi.
Ermini chiese conferma al procuratore generale e fu informato delle iniziative di coordinamento intraprese. Già intenzionato a non prendere iniziative in assenza di una nota scritta da Davigo, a quel punto si tranquillizzò.
La corrente Autonomia e Indipendenza parla di «ignobile sciacallaggio» e chiede «l’attivazione di tutte le istituzioni interessate» ma senza una decisa presa di posizione in difesa del suo fondatore Davigo (mai nominato nel comunicato).
Nei nuovi veleni, Ermini intravede «manovre di destabilizzazione» per ridare fiato a campagne per lo scioglimento del Csm, già rintuzzate due anni fa e ieri rilanciate dal centrdestra. Il Quirinale ha da subito manifestato distanza da una vicenda sui cui sono in corso indagini e in cui il Csm, a differenza del caso Palamara, è al momento parte lesa. Nessun membro è accusato di alcunché. Davigo è decaduto sei mesi fa dopo un duro scontro, con i decisivi voti di tutti i consiglieri coinvolti a vario titolo in questa storia: Ermini, Salvi, Di Matteo e Ardita.
Giovedì Mattarella sarà di nuovo al Csm, per un documentario sul «giudice ragazzino» Rosario Livatino ucciso dalla mafia nel 1990 e che domenica sarà – lui, sì – beato. —