Robinson, 1 maggio 2021
Intervista a Kaija Saariaho
La finlandese Kaija Saariaho vince quest’anno il Leone d’oro alla carriera della Biennale Musica di Venezia “per lo straordinario livello tecnico ed espressivo raggiunto nelle sue partiture corali e per l’originalità del trattamento della voce”. È davvero così brava? Lo è. Eppure in pochi in Italia conoscono il suo nome, per noi misterioso dal punto di vista della pronuncia.
Può quindi accadere d’immaginarla come un’artista nota solo agli adepti integralisti, duri e puri, della musica contemporanea. Tuttavia internazionalmente non è così.
Nata a Helsinki nel 1952 e residente da tempo a Parigi, Saariaho è seguitissima a livello mondiale. Ha ricevuto i maggiori premi per la composizione firmando musica da camera, lavori sinfonici e opere andate in scena in teatri prestigiosi. La sua musica non è ardua né ostica. Però richiede un ascolto concentrato. In cambio restituisce un senso di avvolgente e penetrante meditazione esistenziale.
Ascoltate su YouTube il suo poderoso Oltra mar, che debuttò nel 1999 con la New York Philharmonic. Questo brano per orchestra e coro (a Venezia sarà eseguito in concerto il 17 settembre, giorno della consegna del Leone d’oro all’autrice) ha un’energia impressionistica che mescola sapientemente i colori orchestrali, facendoci affacciare sull’illusione di mondi toccanti e sconosciuti. È come se la sua musica dialogasse col nostro orecchio più profondo e segreto.
Kaija Saariaho: nei suoi pezzi, che integrano elettronica e acustica, la trasformazione progressiva delle masse sonore pare metterci in contatto con l’ignoto. Ha un progetto spiritualista?
«Non ho obiettivi mistici né fedi religiose», risponde da Parigi. «Ma so che la musica apre in noi porte a cui l’intelletto non può avere accesso. È un’arte che si collega a temi essenziali della vita umana quali la nascita, l’amore e la morte.
Avvicinabili tramite la sensibilità e l’intuizione, e non con la razionalità».
Come il compositore estone Arvo Pärt, divo planetario di una musica poetica, lei sembra essere lontana da certe astruse e crudeli avanguardie novecentesche.
«In chi definisce elitaria la musica contemporanea c’è una pigrizia mentale tipica della società consumistica. Il pubblico è drogato dall’intrattenimento globale.
Premesso che non sono attratta da musiche complicate per il mero gusto di esserlo, né da quelle che vogliono sedurre con ricette vuote, sono convinta che la comunicazione debba essere uno scopo prioritario per un creatore.
Chi compone ha una responsabilità precisa: deve arrivare al pubblico ed entrare in rapporto con chi ascolta».
Qual è stata la sua formazione?
«La mia era una famiglia digiuna musicalmente, mentre io mi resi conto presto che la musica era il mio giardino. Scoprii Bach, che non smette d’ispirarmi, e studiai vari strumenti. Ero convinta che di notte, dal mio letto, emergessero fiotti musicali. Chiedevo a mia madre di spegnere il mio cuscino.
Via via divenne necessario trovare strade che mi permettessero di scrivere i suoni che sentivo irrompere dentro di me».
In Finlandia ha studiato alla Sibelius Academy. Poi ha frequentato in Germania i corsi di Darmstadt, luogo collegato a una visione rigida e punitiva della musica.
«I corsi, all’opposto, erano molto aperti, e a Darmastadt conobbi gli esponenti dello spettralismo (corrente basata sull’analisi dello spettro sonoro e dei fenomeni fisici del suono, ndr). Proponevano qualcosa d’innovativo rispetto al post-serialismo e insistevano sulla rilevanza della percezione. Ho studiato anche all’Ircam di Parigi, dove analizzavo i suoni con i computer e sviluppavo tecniche compositive col supporto di ricercatori nel campo dell’intelligenza artificiale».
I compositori e gli interpreti finlandesi hanno un enorme impatto nel mondo. Come spiega questa particolarità?
«L’educazione e il rispetto della società verso la musica hanno determinato un terreno fertile. In Finlandia c’è un sistema di finanziamento che dà ad alcuni compositori il sostegno dello Stato.
La posizione centrale della musica è divenuta una realtà grazie a Sibelius, simbolo per il Paese all’inizio del secolo scorso, quando la Finlandia lottava per l’indipendenza. Gli sviluppi dei nuovi metodi per l’educazione musicale, oltre al sistema delle sovvenzioni pubbliche, sono stati raggiunti dopo la seconda guerra mondiale grazie a politici ed educatori motivati e visionari».
Lei è una delle rare donne compositrici: la creazione musicale è un mestiere maschile?
«No. Ma la Storia la scrivono gli uomini. Comporre è un processo così lento che molte donne, storicamente, non hanno avuto il tempo di dedicarvisi per motivi sociali. Di rado la loro musica è stata eseguita, dato che erano gli uomini a controllare le istituzioni.
Il paesaggio sarà diverso quando ci sarà una parità istituzionale».