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 2021  maggio 01 Sabato calendario

Su "Musica e psiche" di Augusto Romano

«Musica. Fa pensare a un mucchio di cose». Così Gustave Flaubert nel suo Dizionario dei luoghi comuni. Come dire un’ovvietà, per quanto con una punta di malizia, degna dei suoi Bouvard e Pécuchet. E sì che per altre voci ben diversa tonalità si può cogliere, di intelligenza, saggezza o ironia, e perfino, talvolta, di stravaganza. Prendete per esempio alla voce Delfino, leggete «Porta in groppa i bambini» e calcolate la distanza da quel banale del «fa pensare a molte cose» detto per la musica, seppure con l’aggiunta di un «ammorbidisce i costumi», che potrebbe aprire a divagazioni assai meno scontate. Ma tant’è. Se comunque così stanno le cose si sarebbe legittimati a pensare, per venire a noi, che qualunque libro in cui si parla di musica rischi grosso. O che ci sia in ballo una qualche scommessa non esente da sconsideratezza. Me ne vengono in mente poche, per la verità, di scommesse di questo genere che darei per vinte. Una di queste però è proprio l’ultimo lavoro di Augusto Romano, Musica e psiche.
Ecco un libro che non sfiora l’ovvietà nemmeno alla lontana. Che anzi ci offre un panorama di suggestioni, tra riflessioni dottorali e memorie personali, davvero in perfetta armonia con ciò di cui la musica stessa si rivela capace: vincere la resistenza pervicace delle parole, la loro forza d’inerzia, sciogliere i nodi che trattengono l’immaginazione, e restituirci a un altrove, o a un mondo altro, che sta in quel «fuori di noi» misteriosissimo soprattutto per la sua enigmatica ma perfetta coincidenza con il «dentro di noi» più profondo. Il mondo del sentimento che ci abita e ci muove aldilà di quello della ragione che ci ordina e ci «sistema». Il mondo delle infinite e segrete risonanze che la vita nel suo trascorrere porta con sé, aldilà del mondo delle convinzioni calcolatrici o utilitaristiche per cui si tratterebbe ogni volta, appunto, di «farsene una ragione».
Nella breve Introduzione, l’Autore si cautela con elegante understatement: definisce le sue pagine come niente di più che un bricolage in intreccio di riflessioni teoriche e libere divagazioni da testi letterari. Eppure anche al lettore più frettoloso non sfuggirà, sin dalle prime battute, di trovarsi precipitato in un testo «sulla» musica che stranamente, o sorprendentemente, risuona esso stesso «in» musica. Personalmente ci ho visto, nella sua struttura, un richiamo neppure troppo implicito alla perfetta articolazione di una forma-sonata di tradizione romantica in quattro movimenti. La prima parte, Le stanze del canto, come un primo movimento di esposizione dei temi intorno alla questione centrale delle affinità e appartenenze della musica agli universi del mito e del simbolo più che non alla modesta galassia delle parole che sempre si rivelano del tutto insufficienti e inadeguate a cogliere l’indicibile e l’inesprimibile di ciò a cui solo i suoni, le note, riescono a dare vita. Risento, in sottofondo, le lontane parole di Giorgio Manganelli in dialogo radiofonico con Paolo Terni, il più amabile dei musicologi (e musicofili): «Non c’è nessun significato al momento in cui viene recepito: è questo il punto affascinante… questo motivo che era nato, diciamo, nell’ambigua ambizione di avere un significato, nel momento in cui viene appropriato dal musicista, viene catturato dal musicista, perde ogni significato». Come dire, la magia della musica. In questa prima parte del libro, i molteplici agganci alle fonti più diverse (letterati, filosofi, musicologi e, ovviamente, psicanalisti) intrecciano dunque sapientemente una trama assai suggestiva di continui rispecchiamenti e rifrazioni che non possono non «incantare» (forse perfino «incatenare»…) non solo il più frettoloso ma pure il più imperturbabile dei lettori.
La seconda parte, Variazioni sul tema, riprende i temi svariando su quei sentieri del romanzesco e del poetico (Hoffmann, Bernhard, Rilke…) che meglio sanno mettere in luce l’insondabile legame di «Ombra» tra musica e destino: non solo la fascinazione che la musica può provocare, ma perfino l’ossessione, la possessione, l’invasamento. Mentre la terza parte, Musica e Analisi, si centra sul tema dominante delle molteplici assonanze e vicinanze tra le sonorità proprie del linguaggio musicale e i «riverberi» della clinica psicologica. Una reciprocità di armonie aldilà di tutto ciò che si pretenderebbe, nell’analisi, puramente verbale. Per concludere infine con un ultimo movimento in forma, musicalmente parlando, di «scherzo (o di contraddanza) tra Congedo in appello ad una pratica analitica davvero vitalizzante (almeno una metà di quanto la musica sa esserlo…), Coda in forma di dialogo apologetico e Appendice come memento per una psicoterapia essa stessa «paziente»: non tanto lenitiva (nè tantomeno consolatoria), ma davvero trasformativa e perciò attentissima alla parola (almeno una metà di quanto la poesia sa esserlo…).
Al termine di questo libro di Augusto Romano sono convinto che pure al nostro lettore frettoloso potrebbe accadere di ritrovarsi in compagnia di quel sentimento di placata malinconia che solo pochi libri ormai sanno offrire come viatico di riconciliazione con la «dura» realtà delle cose, delle parole e dei fatti di una vita incapace di cogliere la musica che da sempre l’accompagna e la sorregge. Il che, soprattutto di questi tempi, sospetto potrebbe tornargli prima o poi di sicuro giovamento.
Un’ultima battuta. Per i lettori che amano immergersi nelle pagine con musica di sottofondo e che dunque, incontentabili, non volessero rinunciarvi nemmeno quando in quelle pagine è proprio di musica che si tratta (abundandis in abundandum, per dirla con il principe De Curtis…), mi permetto un suggerimento: nel caso di questo libro di Augusto Romano si potrebbe optare per un abbinamento con una qualunque delle sonate per pianoforte di Franz Schubert. Con preferenza, volendo essere più precisi, per la D 894 in sol maggiore o per la D 960 si si bemolle maggiore. Non so se il consiglio si rivelerà apprezzato e appagante, ma intuisco che, per strane vie, potrebbe risultare particolarmente gradito all’Autore.