Tuttolibri, 1 maggio 2021
Riscoprire Mario Lattes
L’edizione delle Opere di Mario Lattes nasce dalla volontà della vedova, Caterina Bottari Lattes, che nel 2009 ha creato la Fondazione Bottari Lattes per portare avanti iniziative ispirate al lascito culturale dell’autore e promuovere l’ampio patrimonio delle sue opere.
Attraverso le carte dell’archivio si è aperta la porta dell’officina dello scrittore ed è stato possibile riportare alla luce una serie importante di inediti: alcuni racconti e alcuni scritti di carattere saggistico, un manipolo di poesie, i testi e gli abbozzi teatrali, ma soprattutto due romanzi, L’esaurimento nervoso (scritto nel 1964-65) e Il Castello d’Acqua (uscito postumo nel 2004 e ora pubblicato nell’ultima redazione messa a punto dall’autore). Il quadro è completo. E al suo interno si possono cogliere fasi, direttrici, linee di sviluppo, elementi di continuità e ripensamenti.
Se dovessimo indicare un fenomeno che contraddistingue i processi compositivi di Lattes e che ricorre con frequenza statisticamente rilevante nelle sue opere, questo è la riscrittura di sé, la riassimilazione del già detto, il travaso da un testo all’altro o da un genere all’altro (specialmente dal racconto al romanzo e viceversa). L’impressione è che alla base ci sia un profondo sedimento di temi archetipici con una forte valenza simbolica e che su questa base la scrittura proceda nel suo percorso di ricerca anche come riformulazione e progressivo avvicinamento. Adeguati a un rapporto meravigliosamente nevrotico con il testo risultano essere i versi, frutto di una produzione marginale, se paragonata a quella narrativa, ma esemplare di un lavoro che va ben oltre l’appunto intimo o il semplice sfogo, e mira, con impegno e serietà, a precise scelte linguistiche e di stile.
La produzione narrativa breve di Mario Lattes è ricostruita in tutta la sua estensione, che comprende, oltre all’unica raccolta pubblicata (Le notti nere del 1959), i numerosi racconti dispersi, usciti su rivista o su quotidiano (in particolare sulla Gazzetta del Popolo), e alcuni testi inediti ritrovati nell’archivio dello scrittore. L’esercizio sul racconto per Lattes è sicuramente un banco di prova per il romanzo, ma è anche vero che nella forma breve lo scrittore trova la possibilità di un’ampia e libera sperimentazione di generi: il racconto a base memoriale e autobiografica, il racconto di viaggio, la tranche de vie urbana o di provincia, il ritratto satirico, il poliziesco e soprattutto il racconto fantastico con venature surrealiste. Grande la varietà anche per quel che riguarda i temi: l’incombenza della morte, il personaggio «senile», che rinuncia a vivere o, meglio, aspira a vivere come se fosse morto, la necessità alienante di portare una maschera o di travestirsi per vivere, l’ironia del tono e della rappresentazione, anche divertita ma per lo più amara e ombrosa, il ricorso al linguaggio colloquiale accanto a forme decisamente auliche e ricercate.
Fra i temi toccati ha un rilievo particolare il rapporto con la cultura e la tradizione ebraiche. Per Lattes - di padre ebreo e madre cristiana ma legato alla vita della comunità soprattutto tramite la nonna paterna - è un punto che riguarda il delicato problema dell’identità, o più precisamente uno dei fattori in cui si manifesta l’irriducibile lacerazione dell’identità dei suoi personaggi. Non è un caso che lo si ritrovi nei romanzi basati sulla trasfigurazione delle memorie familiari (La stanza dei giochi, L’incendio del Regio e Il Castello d’Acqua) né che sia rappresentato prevalentemente nei termini di un’oscillazione fra senso di appartenenza ed esclusione. Così anche in numerosi racconti: Sabato, La voce di Dio, Devozione, Buon mo’èd e l’inedito Kippur, il cui protagonista, preso da un’insostenibile stanchezza mentre assiste alla cerimonia, si rifugia per una scaletta a chiocciola in una stanza della torre della Sinagoga coperta di escrementi di gufi, animali impuri secondo la tradizione ebraica. Di qui, attraverso un lucernario, senza muoversi per giorni, continua a osservare ciò che succede all’interno, ma ostinatamente dal di fuori. È l’immagine anche fortemente simbolica di un conflitto che riguarda anche altre figure lattesiane: il conflitto fra l’impulso alla sicurezza dell’integrazione e la frustrazione di questo impulso per una irriducibile alterità, tale da meritare l’esecrazione del gruppo o della società (e di conseguenza il senso di colpa del soggetto).