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 2021  maggio 01 Sabato calendario

A proposito di "Contro l’impegno" di Walter Siti

«Yes, we can repair the world»: lo slogan famoso di Obama, coniato nel 2008, risuona nei titoli di molta letteratura di oggi. C’è il bestseller di Maylis de Kerangal, Réparer les vivants; c’è un saggio narrativo recente di Christian Raimo, Riparare il mondo; ma anche Roberto Saviano si rivolge, nel suo ultimo libro, «a quelli che ogni mattina si alzano col solo scopo di provare a riparare il mondo». E poi Réparer le monde: la littérature française face au XXIe siècle, in cui Alexandre Gefen indaga e difende criticamente proprio il valore terapeutico che molta narrativa attuale persegue (ma La cura dello sguardo di Franco Arminio reca come sottotitolo Nuova farmacia poetica, a segnalare che il fenomeno attraversa anche la poesia).
Titoli come questi - e altri potrebbero aggiungersi - riflettono la tendenza attuale di molta cultura letteraria a ospitare un «messaggio positivo», che migliori la società e risani l’individuo. Complementari agli sforzi di chi usa l’arte per il bene sono quelli, altrettanto spiccati, a usarla contro il male (alla presidenza di Obama non è forse seguita quella di Trump?): si censurano opere diventate incompatibili con i nostri scrupoli morali (il femminicidio alla fine della Carmen di Bizet e Mérimée, l’ambiguità di Lolita nel romanzo di Nabokov); si contestano gli artisti che ci deludono sul piano biografico (da Céline a Carrère); si scrive, anzi si testimonia, alleandosi con la pedagogia e col giornalismo, contro ogni oppressione - il riscaldamento globale, la guerra, la criminalità e i terrorismi, i totalitarismi, i maschilismi (i nemici più apprezzati sono i più condivisi, quelli che nessuno è più disposto a difendere). Se uniamo questi puntini, ecco abbozzato il perimetro di una vasta sensibilità letteraria che possiamo definire impegnata, culturalmente egemone in tutto l’Occidente ma forse particolarmente in Italia - dove la società pende in gran parte a destra e la sinistra è abituata a rifugiarsi nei consumi culturali. Si tratta di uno schieramento che mobilita, sul piano della comunicazione, adesioni e rancori, ma sulle cui opere è difficile trovare riflessioni critiche serie. Perché la critica stessa - soggetta a sua volta all’aria del tempo - ha sempre meno voglia di «fare del male», cioè di entrare in conflitto con i testi di cui dovrebbe occuparsi. Magari si concede qualche rara, goliardica stroncatura, ma di norma indulge a festose celebrazioni, tanto inutili quanto stucchevoli. Appaltata in gran parte a vip orgogliosamente incompetenti, o a scrittori in proprio (troppo bisognosi di approvazione altrui per potersi permettere di disapprovare il prossimo), la nuova critica ha imparato dai social - e dalla politica - a non dispiacere a nessuno: a elargire big like o a sparare sulla croce rossa.
Anche Walter Siti fa il romanziere in proprio, ma tra gli scrittori italiani è tra i più dotati in fatto di competenza critica e indipendenza di giudizio. Il suo nuovo pamphlet - Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura - risulta meno organico e compatto di altri suoi saggi recenti (Il realismo e l’impossibile e Pagare o non pagare); ma più di quelli costituisce un prezioso esercizio di vera critica militante. Siti rivolge ai libri di oggi le stesse domande di senso che si rivolgono ai classici, ne osserva l’aspetto formale e le strutture profonde, li collega alla politica e alla società. In concreto, identifica una retorica del neo-impegno attuale, fatta di figure perlopiù elementari, sia di parola (anafore, enumerazioni) che di pensiero (ironie, metafore grossolane). Ne studia la lingua, di solito asettica e moscia; ne osserva le trame, virate al melodramma o spezzettate in frammenti, e le psicologie, estroflesse e sottotitolate, concludendo che «la leggibilità è la dote più apprezzata». Fatto interessante e nuovo: alla letteratura il potere ha sempre chiesto di essere «morale», ma mai al prezzo di una così grande semplificazione formale (il nuovo potere se ne frega dello stile?). E dal momento che nel neo-impegno il contenutismo stesso costituisce una forma, Siti passa a verificare i temi più alla moda: migranti, vari tipi di diversità, malattie rare, orgoglio femminile, olocausto, bambini in guerra, insegnanti eroici, giornalisti o avvocati in lotta col Potere, criminalità organizzata, minoranze etniche. Ci si chiede, testi alla mano, se tanta inclusività e fervore democratico non affondino nella rimozione concreta della violenza reale, nelle magagne della democrazia; come uno smartphone, facile da usare ma incomprensibile nel suo funzionamento interno, così molta letteratura contemporanea proietta fuori di sé una gamma di valori edificanti, contraddetti però dall’oscuro funzionamento interno delle società in cui viviamo. Tutta questa enfasi sul «riparare» nasce forse dall’intuizione che il nostro sistema sociale e economico va in pezzi, ma che nessuno ha la fantasia o la forza di inventarsene uno nuovo; più che ribaltare il male in bene, «il neo-impegno sembra teso a valorizzare l’opposizione in quanto tale e a confermarsi dalla parte giusta».
Siti, al contrario, non è mai manicheo. Sia nel senso che parteggia per un’arte fatta di ambiguità e chiaroscuri, al riparo da troppi interdetti e cautele; sia nel senso che affronta i suoi interlocutori senza pregiudizi, muovendo sempre da obiezioni concrete e distinguendo in ciascuno fallimenti e riuscite. Tra i bersagli polemici di Contro l’impegno troviamo tutti i nomi più rappresentativi del nostro progressismo letterario - da Murgia a Saviano (il capitolo che gli è dedicato è forse il migliore del libro), da Baricco a Carofiglio - oltre a non pochi campioni di sentimentalismo e incassi (D’Avenia, Catozzella), e a diversi esemplari di «letteratura integrata», fra parola scritta e nuovi media (libri desunti dai podcast o dai social, romanzi pensati per diventare serie o film). Nessuno è attaccato sul piano personale, o fatto oggetto di sarcasmo: che quella di Siti sia ottima critica si capisce dal fatto che sarebbe nutriente per gli scrittori stessi, oltre che per i lettori, se si verificasse il miracolo di un ascolto reciproco e di un autentico dialogo. Perché Contro l’impegno offre l’occasione per un confronto non superficiale su quello che chiediamo, oggi, alla letteratura (e sullo scarto tra riformismo e rivoluzione); sottolineando che la scelta che conta non è fra Bene e Male, e tantomeno tra destra e sinistra, ma tra una letteratura che conferma e persuade e una che scopre e smarrisce; tra una ricerca di efficacia e una ricerca di senso; tra una civile obbedienza al dizionario e alle leggi della polis e un tentativo di scavo nel rimosso della società, in un «lasciarsi parlare» dal linguaggio.
Cosa resta ai margini dall’ambito, comunque molto esteso, che Siti prende in carico? Indicherei almeno un tabù e un retropensiero. Il primo riguarda l’identificazione specifica, interna al neo-impegno, di un brand di «narratrici (a diverso titolo) impegnate», al cui lancio l’industria culturale sembra negli ultimi tempi particolarmente interessata - non tanto per ragioni artistiche o civili quanto a scopo di identificazione e marketing (il pubblico dei lettori è prevalentemente femminile e lo è sempre di più). Il secondo è piuttosto un sospetto: il nuovo impegno, inteso come tensione a mettere il racconto al servizio di vari riformismi, non è forse soltanto un aspetto di un movimento più grande, rivoluzionario, che mette tutta la letteratura al servizio della comunicazione (e dell’ideologia), indebolendone la forza autonoma? Quella che Siti chiama la letteratura «solo scritta» non si sta sciogliendo quasi tutta in un bagno di adattamenti e ibridazioni - con altri linguaggi, altri saperi, altre forme di estetica - che dietro un’apparente vitalità ed effervescenza rischiano di depotenziarne il significato, il modo di conoscere e il funzionamento specifico? Sarebbe lo spunto per un altro saggio, e per un diverso e più largo confronto.