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 2021  maggio 01 Sabato calendario

Rifkin’s Festival, il testamento di Woody Allen

Ci si trova alla proiezione stampa di Rifkin’s Festival, dal 6 maggio in sala, con una sorta di euforia da riapertura e una doppia apprensione: «Vuoi vedere che la gente si è abituata al cinema in casa?»; e «Vuoi vedere che questo Woody Allen, magari l’ultimo considerata l’età, non è riuscito?». Partono i titoli di testa, quelli tipici del maestro newyorkese: scritte bianche su fondo nero e l’accompagnamento musicale di un motivo jazz, stavolta Wrap Your Troubles in Dreams, nella deliziosa versione di Stephane Wrembel. Ed è una canzone che ben sintetizza il senso di una storia dove il protagonista non fa che riversare catarticamente nei sogni problemi e dubbi esistenziali. Salvo che essendo un ex professore di cinema, il suo immaginario onirico è imbastito in maniera parodica su scene di classici europei, da Fino all’ultimo respiro a Jules e Jim, da 8 1/2 a Il Settimo Sigillo ( con un fantastico cameo di Christoph Waltz in versione Morte).
Pur stufo dei festival che non sono più gli stessi, l’io narrante del film Mort Rifkin (Wallace Shawn) ha accompagnato a San Sebastian la moglie (Gina Gershon) perché sospetta che abbia una relazione con l’emergente autore francese (Louis Garrel) di cui è addetto stampa. E la sua gelosia si nutre anche delle divergenze estetiche con l’aitante rivale: un tronfio narcisista che crede nel cinema come messaggio e adora i lieti fini hollywoodiani di Ford e Capra; mentre in cima alla lista di Rifkin c’è il cinema «adulto» europeo dei vari Fellini, Truffaut, Bergman, Godard e Bunuel che va rispecchiando in sogno.
Il rapporto con la religione, l’ebraismo, la famiglia; l’idea della trivialità di qualsiasi filosofia se confrontata all’ineluttabile realtà della morte; e il contraddittorio attaccamento alla vita, ai suoi valori di arte e di amore, a dispetto della vanità di ogni cosa: inutile dire che, in qualità di ennesimo alter ego di Woody, Rifkin ne rispecchia in pieno idiosincrasie, angosce, ipocondrie e predilezioni, cosicché il film assume quasi un carattere testamentario. Ma niente di mesto: al solito Allen sublima pessimismo e ansie in leggerezza, inanellando situazioni paradossali e divertenti; ed è una buona trovata che il medico cui Rifkin si rivolge per un’ oppressione al petto di ovvia origine psicosomatica sia una graziosa spagnola che, risvegliando in lui pur platonici sussulti sentimental-sessuali, gli restituisce la voglia di andare avanti. Il problema è che Rifkin‘s Festival è una summa di motivi alleniani che non riescono a tradursi, come altre volte, in commedia umana; il ritmo narrativo ne risente e se gli interpreti sono buoni, la produzione ha poco smalto. Resta che trascorrere un’ora e mezzo in compagnia di Woody e della sua scintillante intelligenza è un grande privilegio. Stoltamente, per infondate ragioni moralistiche, gli americani in questi anni se ne sono privati, ma per fortuna noi siamo europei!