la Repubblica, 1 maggio 2021
Non esistono più territori, soltanto piattaforme
Nella vulgata corrente il secondo decennio del secolo è stato caratterizzato dal ritorno dei sovranismi e degli Stati nazionali. Molti si sono spinti a parlare di fine della globalizzazione e da quando – sono già quindici mesi – il mondo si trova a fare i conti con la pandemia, nuove paure, ansie ataviche e una diffusa incertezza sul prossimo futuro hanno alimentato quella che viene un po’ genericamente definita come “crisi della democrazia”.
Nel suo bel libro ( Statosauri – Guida alla democrazia nell’era delle piattaforme, edizioni Quinto Quarto), Massimo Russo confuta questa tesi, invitandoci con argomenti stimolanti a “guardare oltre”, a contemplare il taglio netto che da anni è in corso con un passato anche recente, a cogliere quello che gli ultimi mesi hanno messo a nudo: «il passaggio dall’epoca dei territori a quella della piattaforma». Secondo Russo, che è insieme giornalista, saggista e manager – oggi Chief Product Officer Europe di Hearst (uno dei maggiori gruppi della comunicazione), direttore di Esquire Italia e docente alla scuola di giornalismo della Luiss, in passato direttore di Wired e condirettore della Stampa — in realtà il mondo non ha mai smesso di restringersi e il confinamento odierno ha reso più rapido il processo di nuova globalizzazione di cui le “piattaforme” sono il motore primario.
Un cambiamento rapido, cui facciamo fatica a tenere dietro, della tecnologia e dell’economia. Basta fare un paragone con venti anni fa: nel 2001 le più grandi società (per capitalizzazione e profitti) erano legate al mondo dell’energia (General Electric), del petrolio (Exxon), della finanza (Citi), della distribuzione (Walmart) e Microsoft era la grande eccezione; oggi il quadro è ribaltato e ai primi cinque posti troviamo Apple, Amazon, Alphabet (Google), Microsoft, Facebook con valori di capitalizzazione quadruplicati rispetto a venti anni fa. Un racconto affascinante, che parte da un piccolo ufficio di Tel Aviv (quello dell’ex presidente israeliano Shimon Peres) e prosegue lungo le grandi strade della West Coast americana dalla Silicon Valley a Seattle (un viaggio nel corso del quale l’autore incontra alcuni dei grandi personaggi dell’impero digitale). Tra riferimenti storici ed esempi di oggi, Russo ragiona su quel che definisce l’epoca della turbo-globalizzazione con i servizi che già sono digitali e con i beni fisici che si stanno trasfor-mando in software, rendendo «inevitabile lo scontro tra Stati e piattaforme». Intelligenza Artificiale, Internet delle Cose, computer quantistici, aumenti della connessione globale (solo nei tre anni tra il 2016 e il 2019 sono entrati in rete 726 milioni di nuovi cittadini, soprattutto in Cina, India e Africa) e della velocità di trasmissione dati (il 5G è solo l’inizio) stanno modificando il mondo in cui viviamo e gli Stati nazionali non sembrano più in grado di governare questa complessità. Se i tre pilastri su cui si fondavano hanno mutato forma (il popolo è diventato populismo, la sovranità sovranismo e le piattaforme hanno polverizzato il concetto di territorio) oggi gli Statosauri (da cui il titolo del libro) sono «una tecnologia sociale espressione di una cultura superata e incapace di integrare Big Data, intelligenza artificiale, connessione permanente; e di confrontarsi con soggetti economici privati che valgono in Borsa quanto la ricchezza prodotta dai paesi più ricchi del pianeta».
«Per rispondere in modo adeguato – spiega Russo a Repubblica — servono strumenti nuovi, per dimensione e per cultura. Se non ci accostiamo a questo cambiamento con ingenuità, fiducia negli altri e voglia di imparare non ne verremo fuori. Non stabiliremo un rapporto costruttivo con i nuovi poteri chiudendoci nei nostri confini, delegando a un uomo forte o peggio ancora per via giudiziaria. Una volta Vint Cerf, uno dei padri del protocollo Internet, mi ha detto: “A un certo punto nel gruppo di esperti non riuscivamo a venire a capo di alcuni problemi. Allora chiamai dottorati e dottorandi che non sapevano niente del tema specifico. Trovarono la soluzione. Perché non sapevano che fosse impossibile”. Oggi non c’è un risposta certa. Ma forse dovremmo rispondere ai grandi problemi ri-il baltando gli approcci abituali».