«Abbiamo raggiunto le 500 mila dosi». L’obiettivo è «crescere ancora», avvicinare da giugno quota un milione al giorno. «Ci sono stati alcuni ritardi», ammette ma ora il commissario guarda al futuro. L’idea è completare gli over 65, poi aprire all’immunizzazione senza fasce d’età e senza prenotazione. Utilizzando anche le campagne in azienda, «da fine maggio». E poi sfruttando «centri vaccinali nelle località turistiche».
Finalmente quota 500 mila dosi in un giorno, generale Figliuolo.
«Quando ho assunto l’incarico, il primo marzo, eravamo sotto i 140 mila vaccini al giorno. Per ottenere la progressione ci volevano due cose: le dosi e il controllo, cioè il "contatto" con Regioni e Province. Inoltre siamo passati da 1.400 a 2.430 centri di vaccinazione. Per l’approvvigionamento abbiamo agito in tandem con il presidente del Consiglio, facendo pressione su Big Pharma e portando avanti interlocuzioni con l’Europa».
Siamo arrivati in ritardo alle 500 mila dosi al giorno. Da giugno in poi, se le consegne saranno rispettate, ne avremo un milione.
Somministrarle è un obiettivo raggiungibile?
«Non posso dire che domani riusciremo a fare un milione di vaccini, ma intanto sono sicuro che la macchina possa salire molto più su dei 500 mila. Non dobbiamo fare scorte, ma veleggiare tra l’88 e il 92% di dosi utilizzate rispetto alle consegne. In Italia c’è tutto, grazie a Speranza abbiamo accordi con i medici di famiglia. Hanno aderito 30 mila, con 10 fiale al giorno siamo a 300 mila. Poi ci sono 10 mila farmacie. E 60 mila dosi le possono fare i dentisti».
Può servire anche la vaccinazione nelle aziende. Quando consegnerete le dosi ai privati?
«Abbiamo censito 730 punti vaccinali aziendali. Il sistema è aperto e potrebbe crescere a dismisura.
Speriamo di aprire alle aziende il prima possibile, appena messi in sicurezza gli over 65. A parità di buona salute, nessuno si scandalizza se una persona di 38 anni che lavora alle presse o nel turismo arriva prima di una di 54 perché la sua azienda è stata più veloce. Lo proporrò al presidente del Consiglio. Speriamo di arrivare a fine maggio all’obiettivo».
Finiti i sessantenni, cosa farete per chi ha tra i 18 e i 59 anni?
Andrete per fasce d’età?
«A brevissimo apriremo le prenotazioni fino a 55 anni per chi ha comorbidità legate ai codici di esenzione: malattie neurologiche, del cuore, ipertensione, trapiantati.
Nel frattempo mettiamo in sicurezza gli over 65. Poi, con l’arrivo massiccio delle dosi, vogliamo dare i vaccini ai centri aziendali e aumentare la capacità di somministrazione».
Pensate anche alle farmacie "walk-in" in cui si vaccina chiunque voglia?
«Sì. Coperti gli over 65, la mia idea, ancora non condivisa con chi prenderà la decisione finale, è di dire a tutti quelli che hanno più di 30 anni: andate e vaccinatevi. Poi ovviamente continueremo a immunizzare anche l’ultimo dei fragili. Ma quando gli scienziati ci diranno che l’incidenza della malattia non è rilevante per le diverse fasce d’età, vorrei che si dicesse: chi ha più di 30 anni si presenta e si vaccina. Poi decideremo le modalità con le Regioni, anche per evitare le resse che abbiamo visto».
Questa estate potrebbe però esserci un altro problema. Molti giovani dovranno vaccinarsi, ma saranno in vacanza. E magari non vorranno legarsi a una data del richiamo nel luogo di residenza.
State pensando a una soluzione?
«Sì, è un’idea che sta maturando.
Pensiamo di utilizzare strutture presso centri montani o estivi, che potrebbero dare un appeal a quel tipo di utenti. Tutti siamo stati giovani, e sappiamo che i giovani a volte si sentono onnipotenti e pensano: "Tanto non lo prendo". Ma così possono colpire congiunti più anziani. Saremo proattivi, vedremo come strutturare questo piano, ma lo faremo».
E sempre a proposito di giovani: la scienza corre verso i vaccini per i più piccoli. Pfizer è vicina. Studiate un modello per la riapertura delle scuole a settembre?
«Sì, stiamo seguendo quello che accade nel mondo scientifico e quello che fanno gli altri Paesi. Può diventare un modello. Io sono stato ragazzo negli anni Settanta, quando ci vaccinavano pure nelle scuole: stiamo iniziando a pensare anche a idee di questo tipo».
Per la prima volta in un’emergenza di carattere nazionale vengono date le chiavi a un alto ufficiale delle forze armate.
Ha avvertito un po’ di diffidenza da parte delle strutture civili?
«Ho ascoltato giudizi dati da autorevoli commentatori e pensato: io non mi sentirei mai di criticare una persona per il vestito, lo sport che fa, il sesso, la razza, le sue attitudini. C’è stato un chiaro cambio dovuto alla mentalità e alla cultura pragmatica del primo ministro. Io non l’avevo mai conosciuto, ha visto il mio curriculum, ha sentito qualcuno e mi ha chiamato. Venendo dal profondo sud, come alpino dovevo dimostrare di essere più bravo. Sono abituato ad andare in giro in salita con il freno a mano tirato, e lo zaino pesante.
Hanno cercato un ciuccio di fatica».
In uniforme.
«Ci sono state polemiche sull’uniforme. Io rimango un alto comandante dell’esercito, poi posso andare anche in scarpe da tennis e pantaloncini, ma l’uomo è quello. Per convenzione uno si veste in un certo modo. Ma quando qualcuno mi chiede di fare una riunione, cosa devo portare? Il cervello».
Le Regioni hanno mostrato molti problemi. Incapacità tecnica, mancata volontà di chiedere supporto, o cosa?
«Alcuni territori sono più semplici di altri. Penso ai problemi della Calabria, con la sanità commissariata e due miliardi di debiti. Abbiamo tolto qualche sassolino dall’ingranaggio. Creato hub che non avevano, e non per incapacità ma per incapienza finanziaria. Anche il Molise e l’Abruzzo hanno chiesto ausilio. E lo stesso la Lombardia, per il sistema informatico: pensate che ieri hanno fatto 115 mila dosi sul totale di 500 mila. Un record, va detto».
Tutti i vaccini che arrivano vengono consegnati alle Regioni?
«Non si può regolare un’attività senza alcuna riserva, perché non saremmo in grado di fronteggiare l’imprevisto.
Ho così ottenuto dalla Conferenza delle Regioni di tenere una riserva dell’1,5% di dosi. Le Regioni possono avere dei problemi, e con quelle fiale in magazzino possiamo evitare di mandare indietro fragili, anziani e malati senza dosi».
AstraZeneca ha avuto problemi di consegna. I territori stanno iniziando a fare le seconde dosi, ci sono per tutti?
«L’azienda ha avuto un percorso evolutivo, per essere buoni, che però ha portato a un’ondata di percezione negativa. Le seconde dosi le abbiamo e vanno comunque fatte con lo stesso vaccino. Dobbiamo convincere le persone che è meglio vaccinarsi prima che rischiare la malattia perché si aspetta di fare Pfizer o Moderna, ritenuti migliori».
Quante persone non vorranno vaccinarsi? Come si intercettano?
«Pensiamo ad AstraZeneca, bisogna lavorare sulla comunicazione, far capire che un evento collaterale avverso ha dei valori infinitesimi, molto più bassi di quelli della pillola anticoncezionale. Poi ci sono i no-vax, che nel Nord-Est del Paese raggiungono anche il 18%. Nelle altre Regioni siamo intorno al 10-12%. Il fenomeno è statisticamente rilevante se si sale sopra al 5%, dunque c’è.
Quella differenza si può assorbire, ma temo la stagione più calda: pensare che il rischio sia scampato potrebbe farci passare dal "me-vax" al no-vax.
Bisogna fare attenzione all’effetto "tana libera tutti"».
E cosa fare con il personale sanitario che malgrado l’obbligo non si vaccina?
«Percentualmente è un numero molto residuale. La norma è chiara e prevede fino alla risoluzione del rapporto di lavoro. Va fatta informazione e formazione. È inammissibile far rischiare i pazienti.
Poi, fatto tutto, ci sono i direttori delle Asl, ognuno si prenda le sue responsabilità. Governare tutti con la pacca sulla spalla è bellissimo, ma bisogna raggiungere i risultati. La legge c’è, bisogna fare quello che si deve».
Per la scienza continueremo a vaccinarci per anni. E dunque, la straordinarietà della sua struttura è destinata a diventare ordinaria?
«È probabile che si dovranno fare dei cicli di vaccinazione. Le Big Pharma si stanno attrezzando per la cosiddetta terza dose, anche per le varianti. Questa struttura ha un compito, fare la vaccinazione degli italiani il prima possibile. Non deciderò io, ma per come la vedo lo straordinario dovrà diventare normale. Di tutto questo non ho mai parlato con il governo, ma penso che dovremo strutturarci per pandemie che saranno poi endemiche.
Riguardo al mio futuro, ho fissato l’obiettivo di vaccinare gli italiani.
Puntiamo a farlo entro settembre. Poi il presidente del Consiglio deciderà.
Io rimango a disposizione dell’Italia, con tutta la mia struttura».
La Germania resta chiusa con un milione di vaccini al giorno. Noi con la metà riapriamo. E c’è anche chi in maggioranza raccoglie firme per abolire il coprifuoco. Come vive tutto questo?
«La primavera da noi è più calda e arriva prima, rispetto alla latitudine della Merkel… Sulla base di queste evidenze il governo ha deciso di dare un po’ di respiro. Se facessimo gli scienziati puri, apriremmo nel 2026. Se uno fa solo il mestiere del politico e guarda la pancia di alcune categorie, dice: apriamo tutto e non se ne parli più. Il governo ha preso una decisione bilanciata. Poi tutte le scelte sono e saranno sottoposte a rolling review. Siamo andati avanti con scienza, buonsenso, esperienza, un po’ a tentativi. Anche queste riaperture sono una prova».
Il coprifuoco serve ancora?
«Il Cts risponde di norma a queste domande e poi il governo si assume la responsabilità. È chiaro che più vacciniamo, più entriamo nella bella stagione, più i cittadini seguono le regole, meglio va. Scende l’Rt. Se così sarà, ritengo che l’esecutivo andrà verso misure meno restrittive».
Repubblica ha portato avanti una campagna di stampa a favore della generazione più colpita, gli anziani nelle Rsa. Ritiene che ci siano le condizioni per riaprirle, adesso?
«Oggi siamo sopra il 95% delle vaccinazioni nelle Rsa. La mortalità è calata a picco. I più anziani e deboli sono il mio chiodo fisso. I risultati sugli over 80 ci sono stati. Riaprirle o tenerle chiuse, dipende da diversi fattori. Io però posso dire che per quanto mi riguarda le abbiamo messe in sicurezza».
Che immagine le rimarrà, di tutti i suoi incontri in giro per il Paese?
«Ho visto una bella Italia. Persone che si donano per fare il meglio, l’associazionismo, chi lavora presso i centri vaccinali senza sosta e senza orario. Ho anche commesso errori.
Sono un po’ incazzoso, quando mi fanno tre volte la stessa domanda senza senso reagisco male».
Un ultimo messaggio a cui tiene?
«Davanti a eventi poco comprensibili, l’unica salvezza risiede nella fiducia nella scienza».