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 2021  maggio 01 Sabato calendario

Ultime sul verbale di Amara


Antonio Massari per il Fatto
Fu il vicepresidente del Csm David Ermini il canale di Piercamillo Davigo per informare il Quirinale dell’esistenza dei verbali dell’ex legale dell’Eni, Piero Amara, sulla presunta “loggia Ungheria”. Verbali sui quali il pm di Milano, Paolo Storari, sostiene di essere entrato in contrasto con i vertici della sua procura già nella primavera del 2020, perché per sei mesi avrebbe chiesto inutilmente di effettuare le iscrizioni di indagati e poi per “autotutela” si rivolse a Davigo. Quest’ultimo sostiene di aver ricevuto i verbali da Storari, che lamentava un’eccessiva attesa nell’avvio delle indagini. A quel punto Davigo ne parla con il vicepresidente del Csm, David Ermini, al quale mostra la copia dei verbali. Ermini si presenta personalmente al Quirinale. Il giorno successivo riferisce a Davigo che il Quirinale lo ringraziava e che non c’era bisogno per il momento di attuare ulteriori iniziative. Ermini conferma al Il Fattosoltanto di aver parlato con Davigo. Il Quirinale invece non ha commentato in alcun modo la vicenda, per rispetto delle indagini in corso. Fonti qualificate del Csm, tuttavia, negano un incontro personale tra Davigo e Mattarella, che non avrebbe mai visto né letto i verbali in questione al pari del suo consigliere giuridico Stefano Erbani.
Qualcuno però parlò con il Presidente Mattarella e qualcosa si mosse con la cautela imposta dal Qurinale di non interferire con le indagini in corso per non violare qualsiasi prerogativa istituzionale. A sua volta, ieri il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, ha negato di aver mai saputo che Davigo fosse entrato in possesso dei verbali in questione. Non solo. Il Fatto è in grado di ricostruire che il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi sarebbe stato soltanto informato da Davigo della vicenda – ma senza fargli il nome del pm Storari – e a sua volta lo stesso Salvi ne parlò con il procuratore di Milano, Francesco Greco, anche perché nei verbali Amara citava un componente del Csm, Marco Mancinetti. La procura di Milano inviò a Salvi i verbali su Mancinetti per i necessari approfondimenti disciplinari. Greco e Salvi però non discussero il merito dell’indagine (si parlò soltanto in linea generale dell’esistenza di una sorta di nuova P2). Inchiesta sulla quale, peraltro, necessitava una valutazione in relazione alla competenza, poiché gran parte delle condotte ipotizzate si erano svolte a Roma. In quel frangente sono iniziate le frizioni tra Storari, Greco e il procuratore aggiunto Laura Pedio, per le iscrizioni e le ipotesi di reato. Quella che viene presa in considerazione è la violazione della cosiddetta legge Anselmi, la 17 del 25 gennaio 1982: si discute su quante persone (su circa 74 nomi) andrebbero iscritte nel registro degli indagati. La posizione della procura di Milano è di procedere con cautela, iscrivendo Amara e altri due presunti affiliati, che si erano autodenunciati, per poi verificare le singole posizioni. Amara promette di depositare una fotocopia: non lo farà mai.
Ma torniamo ai verbali giunti a Roma. Verbali molto delicati anche sotto il profilo politico, perché Amara sostiene di aver favorito Giuseppe Conte, in quel momento presidente del Consiglio, quando nel 2012 invitò il suo amico Fabrizio Centofanti ad affidargli un incarico per conto della Acquamarcia spa. La vicenda, già vagliata dalla procura di Milano, non ha mostrato alcun profilo di illiceità, ma inserire il nome dell’allora presidente del Consiglio in un contesto “massonico” in stile P2 non poteva che produrre un effetto destabilizzante. È importante sapere se anche questo dettaglio, politicamente sensibile proprio per il suo effetto, sia stato portato a conoscenza del Quirinale o del Csm. E mentre la procura di Brescia valuta l’apertura di un fascicolo, il procuratore generale Salvi annuncia iniziative disciplinari per “violazione del segreto”. “Non c’è stato nulla di irrituale”, replica Davigo, poiché Storari – che si dice pronto a riferire al Consiglio – si rivolse a lui proprio per il suo ruolo istituzionale e “il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm”. Salvi ha aggiunto che Davigo parlò di “contrasti” alla Procura di Milano su un “fascicolo molto delicato, che, a dire di un sostituto, rimaneva fermo” ma “mai” gli disse del fatto che avesse la disponibilità delle copie di verbali di interrogatorio resi Amara alla Procura di Milano.
Ieri è intervenuto anche Ermini, parlando a nome del Consiglio superiore della magistratura: “Il Csm è del tutto estraneo a manovre opache e destabilizzanti, ma è semmai obiettivo di un’opera di delegittimazione e condizionamento tesa ad alimentare la sfiducia dei cittadini verso la magistratura. Auspico la più ferma e risoluta attività d’indagine da parte dell’autorità giudiziaria al fine di accertare chi tenga le fila di tutta questa operazione”. Il vicepresidente del Csm conclude: “Una funzionaria del Consiglio, in seguito alla perquisizione nella sede consiliare in ordine alla diffusione di materiale istruttorio coperto da segreto, è stata immediatamente sospesa dal servizio. Eventuali sue responsabilità o di altri per condotte individuali non riferibili al Consiglio sono oggetto di indagine da parte dell’autorità giudiziaria competente”.

Luca Fazzo per il GiornaleIl pm milanese Paolo Storari tace (anche se, come vedremo tra poco, ha già parlato a sufficienza). Ma è attraverso questo magistrato solitario, arruffato e sgobbone, cresciuto alla scuola di Ilda Boccassini, che passa la storia che scuote la magistratura italiana. Perché è dai suoi verbali di interrogatorio che emerge la storia – a tratti inquietante, a tratti inverosimile – della loggia Ungheria, l’associazione segreta di cui da ieri si occupa ufficialmente la Procura di Perugia. È l’inchiesta che prima o poi dovrà dire se Pietro Amara, l’avvocato siciliano che Storari ha interrogato per quattro volte tra il novembre e il dicembre 2019, è solo un millantatore, un avvelenatore di pozzi che architetta trame per salvarsi la pelle. O se davvero una rete di magistrati, avvocati, ufficiali e quant’altri tiri le fila di una loggia di potere occulto, ennesima riedizione della P2 e dei suoi epigoni.L’inchiesta per associazione segreta avviata dalla Procura di Perugia è il secondo, forse terzo filone su cui si muove il «caso Amara». E già questa proliferazione di indagini che vanno ognuna per i fatti propri non sembra una garanzia di accertare presto e bene i fatti. Perugia ha il filone principale, la presunta loggia: di cui Amara indica come membri anche giudici della sezione fallimentare della Capitale, e questo porta la competenza in Umbria. Intanto Roma indaga sul Corvo, anzi sulla Corva – trattandosi per ora di una signora, l’impiegata del Csm Marcella Contrafatto – che ha spedito i verbali di Amara al Fatto e a Repubblica, perché li pubblicassero: e ottenendo invece solo che i giornalisti di entrambe le testate consegnassero ai giudici i plichi anonimi recapitati ai loro domicili. Il comune denominatore di queste due indagini è Storari: perché è lui a raccogliere le rivelazioni di Amara sulla loggia Ungheria, ed è lui, quando si rende conto che il suo capo Francesco Greco non intende aprire un’inchiesta sulla loggia, a consegnare la brutta copia dei verbali di Amara a Piercamillo Davigo. Cioè al capo della Contrafatto. Quando Davigo, obtorto collo, va in pensione, la sua impiegata si dedica anima e corpo a volantinare i verbali di Amara.
Uno dei giornalisti destinatari del malloppo fornisce alla Procura cui si rivolge indizi sufficienti per individuare la Contrafatto come mittente del papello. Il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, manda la Finanza a perquisire casa della signora: ed ecco le copie dei verbali. Bingo. La donna viene incriminata, quando la interrogano si avvale della facoltà di non rispondere. Da questo momento in avanti, l’inchiesta si trova davanti a un interrogativo cruciale: perché l’esperta, fidata impiegata del Csm si è trasformata in Corvo? È stata ispirata, guidata, o preda di un accesso di follia che l’ha portata a immolarsi per la Verità, o per ciò che credeva che lo fosse? In queste ore, la Procura romana scava nel suo passato recente e remoto: non c’è contatto, chat, post sui social network che non venga frugato alla ricerca di un movente o di un mandante.
Poi c’è Storari, quello senza cui tutto ciò non sarebbe accaduto. Se avesse gestito la pratica Amara con burocratico aplomb, quando arrivò sul suo tavolo proveniente da Roma – dove era stata tolta a un altro maverick come lui, il pm Stefano Fava – le dichiarazioni del torbido avvocato messinese sarebbero ancora lì a sonnecchiare negli armadi. Invece Storari prende la cosa di petto. Se Amara mente va incriminato, con buona pace delle Procure che lo hanno coccolato finora; se c’è del vero non si può fare finta di niente. Questa è la linea di Storari, che lo mette in rotta di collisione con i suoi capi. E che lo porta alla fine a fare un gesto inconsulto, come consegnare a Davigo la copia di lavoro dei verbali.
Non è la prima volta in carriera che Storari si mette nei guai per un accesso di ribellione. Ma stavolta si brucia i ponti alle spalle. Lo fa poco dopo la metà di marzo, quando le avvisaglie della tempesta sono ancora flebili. Si è venuto a sapere che la Procura di Milano vuole usare i verbali di Amara (quegli stessi verbali che quando toccano il premier Conte, magistrati importanti e membri del Csm si vorrebbe tenere nel cassetto) per affossare il giudice del processo Eni. Storari si ribella pubblicamente e lo fa nella chat ufficiale della Procura milanese. È lui ad attaccare il capo Francesco Greco con una asprezza senza precedenti, «a volte non si può stare zitti a costo di perdere la propria dignità. Ma di cosa state parlando? Francesco per favore non prenderci in giro, io so quello che è successo e un giorno andrà detto. Fino in fondo». Da quel momento in poi, Storari è solo. Davigo lo scarica, indicandolo esplicitamente come fonte dei verbali. Ma la slavina innescata dal pm milanese ormai è una valanga inarrestabile. Alla fine, ieri la Procura di Perugia fa quello che Storari voleva, apre l’indagine per capire se Amara mente o apre scenari, se rivela o se calunnia. È la vittoria di Storari. Oppure una presa in giro.

Stefano Zurlo per il Giornale
Accade mercoledì scorso al Csm. Nino Di Matteo si alza e comunica al plenum: «Ho ricevuto un verbale con notizie diffamatorie se non calunniose nei confronti di un consigliere. Ho trasmesso questo verbale già un mese fa alla procura di Perugia». Ma quel verbale, anzi tutti i verbali dell’avvocato Piero Amara, anche se coperti da segreto, erano già da un anno nelle mani di un altro autorevole membro del Csm, Piercamillo Davigo, oggi fuori per limiti anagrafici. E Davigo sceglie un altro percorso, ancora non del tutto chiaro. Non informa il plenum, ma parla dei contrasti sorti a Milano, proprio sui verbali di Amara, con il vicepresidente del Csm David Ermini e, più nel dettaglio, con il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi cui però non consegna le carte. Pagine e pagine di deposizioni assai traballanti della gola profonda che sembra raccontare troppi particolari fantastici e che il pm di Milano Paolo Storari ha deciso di consegnare all’inizio di tutta questa storia in modo altrettanto irrituale a Davigo.
Come si vede, siamo dentro un intrigo dai contorni poco edificanti e in cui molti passaggi risultano a dir poco sconcertanti. La procura di Milano, alle prese con un personaggio così ambiguo e scivoloso, rallenta o ritarda l’iscrizione della notizia di reato e allora Storari, pm universalmente stimato, si rivolge a Davigo, quasi per autotutelarsi. Davigo segue una sua strada: certo non dice mezza parola a Sebastiano Ardita, uno dei bersagli di Amara che con lui ha creato il gruppo di Autonomia e indipendenza condividendo l’esperienza al Csm, prima di rompere però nell’ultimo anno ogni rapporto.
«Siamo in un contesto in cui sembra che nessuno si fidi più di nessuno», spiega al Giornale Alessio Lanzi, consigliere laico di Palazzo dei Marescialli. Certo, siamo dentro una geografia terremotata, al crocevia di corvi, che mandano in busta anonima ai giornali le dichiarazioni di Amara, veleni e manovre che si fatica a comprendere.
Storari dunque non si intende con il capo dell’ufficio Francesco Greco e va da Davigo. E l’ex pm di Mani pulite? «Ho informato chi di dovere», è la sua risposta laconica prima di puntare il dito, se le parole hanno un senso, proprio contro la procura di Milano e Greco, che, combinazione, con Davigo condivise Mani pulite: «Ritengo inusuale quello che era accaduto a monte, cioè che un sostituto procuratore lamentasse che non gli consentivano di iscrivere una notizia di reato. Non posso parlare del contenuto dei verbali - spiega Davigo al Tg2 - posso solo dire che per fare le indagini bisogna iscrivere una notizia di reato, che siano vere o false le cose dette, e non è pensabile di ritardarle ingiustificatamente. Quindi Storari per tutelarsi ha informato una persona che conosceva e io ho ritenuto di informare chi di dovere».«Non c’è stato nulla di irrituale - insiste Davigo - perché il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm».
Ma forse non è così. Anzi, le cose si ingarbugliano di nuovo. «Il consigliere Davigo - afferma Salvi - disse che vi erano contrasti a Milano circa un fascicolo molto delicato e che, a dire di un sostituto, rimaneva fermo». Tutto bene? No, per niente: «Né io né il mio ufficio abbiamo mai avuto conoscenza della disponibilità da parte di Davigo di atti o copie dei verbali di interrogatorio di Piero Amara. Si tratta di per sé di una grave violazione dei doveri del magistrato». Tutti i segmenti di questa vicenda appaiono anomali e meritevoli di approfondimento, se non di ulteriori indagini almeno sul versante disciplinare.
Salvi conferma almeno i frutti del colloquio con Davigo: «Informai immediatamente Greco. Si convenne sull’opportunità di coordinamento con le procure di Roma e Perugia. Il coordinamento fu avviato immediatamente e risultò proficuo». E Greco? «Spaccatura in procura a Milano? - è la sua replica - ma quale spaccatura».