Il Sole 24 Ore, 1 maggio 2021
Il trimestre d’oro del tech Usa
La fabbrica dei profitti. È il mondo di 6 giganti hi-tech Usa: da Apple a Google fino a Microsoft, Amazon, Facebook e Netflix. Colossi di Wall Street che, nell’ultimo trimestre chiuso a marzo, hanno riportato conti in rialzo. L’utile cumulato dei “fantastici 6” si è assestato a 76,3 miliardi di dollari. Un valore che è più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (36,99 miliardi). Il trend, a ben vedere, è stato supportato dalle quotazioni in Borsa. Certo: «la rotazione settoriale – ricorda Carlo De Luca, capo asset management di Gamma Capital Markets – ha frenato il rally dei titoli hi-tech. Gli investitori, in prospettiva dell’uscita dalla pandemia e dell’arrivo degli stimoli fiscali, sono tornati ad apprezzare le azioni più legate al ciclo economico». Ciò detto, però, la capitalizzazione dei “fantastici 6” è salita non poco. Nel marzo del 2020, sui minimi del mercato a causa del Covid, la market cap complessiva era di 4.275 miliardi. A inizio anno aveva raggiunto quota 7.751 e oggi viaggia intorno agli 8.590 miliardi di dollari.
Fin qui i numeri. Ma quali le loro cause? Un tema trasversale è la crisi economico-sanitaria. Questa ha accelerato digitalizzazione ed informatizzazione non solo dell’economia ma anche del nostro vivere quotidiano. Un’evoluzione che ha aiutato i big tech ed è probabile manterrà parte dei suoi effetti. «La omnicanalità nella distribuzione – spiega Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’osservatorio Internet e Media del PoliMi –, grazie al digitale, prende sempre più piede». Un contesto che, sul lungo periodo, sostiene i tassi di crescita di prodotti e servizi delle grandi aziende hi-tech. Non solo. «L’impresa, vedendo i benefici nell’efficienza operativa, ha accelerato sull’innovazione. Una spinta agli investimenti, ad esempio nel cloud computing, che nuovamente aiuta i colossi tecnologici Usa».
Già, i colossi dell’hi-tech. Questi vengono considerati come un tutt’uno. Sennonché i “fantastici 6” non sono uguali. È essenziale, quindi, fare distinzione. In tal senso Apple, che ha più che raddoppiato i profitti, deve la sua accelerazione ai prodotti storici: l’iPhone ma anche l’iMac e l’iPad. A fronte di ciò la richiesta del mercato di diversificare dall’hardware finisce sullo sfondo? La risposta è negativa, tanto che è il gruppo stesso a spingere in questa direzione. La divisione di servizi è in rialzo del 26,7% e il gruppo rivendica 660 milioni di abbonamenti sull’ecosistema dei “services” stessi.
Dalla “Mela morsicata” a Microsoft. Anche qui tutte le business unit sono cresciute. La marcia in più, tuttavia, è rappresentata dall’ “Intelligent cloud”, che ha generato un utile operativo di 6,4 miliardi. È la maggiore contribuzione all’ “operating income” del gruppo. Cioè: seppure i prodotti “office” e “windows” rimangono centrali, ad oggi il propellente della redditività è fornito soprattutto dalla nuvola informatica. Quel “cloud computing” che recita un ruolo importante anche in Alphabet (Google). Da una parte, in scia al boom della connessione digitale, gli incassi da pubblicità sono molto saliti; ma, dall’altra, la divisione cloud ha raggiunto 4 miliardi di fatturato. Il che, diminuendo la dipendenza dall’ “advertising”, ha contribuito a portare il peso dei ricavi “non da spot” oltre il 19%. Un dato positivo. Così come sono positivi, anche qui grazie al contributo della nuvola informatica, i numeri di Amazon. Uno per tutti? L’utile netto che è balzato a 8,1 miliardi (2,5 un anno prima). Differente, invece, il discorso per Facebook. Sia chiaro: i ricavi e l’utile (+94%) hanno fatto faville. Tuttavia il business resta quasi esclusivamente legato alla pubblicità. Un rischio! «Anche a fronte -riprende Noci – di eventi quali l’ultimo aggiornamento dell’Ios per iPhone che, di fatto, impedisce di tracciare l’utente del”melafonino”. Inutile dire che il marketing targetizzato ne sarà impattato». Quell’impatto che si è visto anche sulla crescita degli abbonati di Netflix. Quest’ultimi sono saliti del 13,6% ma al di sotto della guidance aziendale. Evidentemente, al di là dell’ impossibilità di mantenere il trend del 2020, pesa la concorrenza di player che, oltre ai contenuti in streaming, possono offrire molti altri servizi. Detto ciò: simili conti aiuteranno i listini? «Penso di sì -dice Giacomo Calef, country manager di Notz Stucki -. Anche perché, da un lato, i rendimenti del reddito fisso restano bassi»; e dall’altro i soldi che «arriveranno alle famiglie Usa, propense all’investimento azionario, sosterranno le Borse». Né sembra così facile che l’amministrazione Biden voglia, sul fronte anti trust, realmente colpire i big tech di casa. «I quali – conclude Calef -, come mostra il piano d’investimenti da 430 miliardi di Apple», porgendo il ramoscello d’ulivo alla Casa Bianca, «tornano ad “amare” il Made in Usa».