La Stampa, 30 aprile 2021
Quota 100 fa male ai giovani
Ricevo molte mail nelle quali mi si chiede se la mia posizione contraria a Quota 100 è dettata più da pregiudizio personale che da obiettiva analisi della misura e dei suoi effetti. Ho sempre cercato di tenere separato il piano emotivo da quello della studiosa. Magari non sempre ci sono riuscita, ma il mio giudizio su Quota 100 prescinde dalla mia personale opinione su Salvini, che l’ha fortemente voluta. Quota 100 – che peraltro è molto meno della tanto sbandierata "cancellazione della Fornero" – è una misura temporanea di accesso anticipato al pensionamento rispetto alle regole stabilite dalla riforma del 2011 (che tendeva alla sostenibilità del sistema e a un maggiore equilibrio finanziario tra le generazioni).
Il decreto che la introduceva prevedeva altre misure, come la sospensione fino al 2026 dell’indicizzazione dell’anzianità contributiva alla speranza di vita. Nei primi due anni di applicazione 2019-20 l’aumento di spesa è stato pari a circa 16 miliardi, di cui 9 per la sola Quota 100. Il finanziamento è avvenuto a debito, in barba al desiderio di «aiutare i giovani». La prospettiva di sostituire ciascuna uscita anticipata con tre nuovi occupati giovani – avanzata dai proponenti nei loro momenti di esaltazione – non si è verificata. Semmai, è vero il contrario: tre pensionamenti anticipati per ogni nuovo assunto, che verosimilmente sarebbe entrato comunque nel mondo del lavoro.
Quota 100 non è rivolta a persone con difficoltà di lavoro o di salute; è iniqua nei confronti delle donne, alle quali è stata riservata la ben più penalizzante «opzione donna», che calcola la pensione interamente secondo il meno generoso metodo contributivo. Ha obiettivi di breve termine, non pone alcun rimedio né al bassissimo tasso italiano di occupazione (nel 2019 superiore solo a quello della Grecia) né all’invecchiamento della popolazione (trascurando la pandemia, sperabilmente in ritirata, la mortalità diminuisce anche tra gli anziani) e si accompagna a una scarsa disponibilità ad accogliere immigrati per compensare almeno parzialmente la popolazione in declino. Con queste inadeguatezze, perché un ambizioso piano di ripresa come il Pnrr dovrebbe insistere su una «simil-quota 100» contro tutte le raccomandazioni in sede europea e internazionale?
Una delle ragioni addotte sta proprio nella «coda avvelenata» di Quota 100, giacché la sua cancellazione dal 31 dicembre 2021 imporrebbe uno «scalone» di 5 anni a quei lavoratori che, per esempio, maturano la combinazione di età/anzianità nel mese di gennaio 2022. Un elemento conosciuto nel momento di approvazione della legge ma forse ignorato proprio per «forzare la mano» al governo in carica alla scadenza. E’ ovvio che qualcosa andrà fatto per riparare questa inaccettabile disparità. Tuttavia, è davvero impossibile, per una volta, utilizzare i mesi che restano per disegnare uno scenario che si proponga di aiutare il più possibile le persone delle classi di età meno giovani a restare al lavoro o a ritrovare un’occupazione, cercando di distinguere chi un lavoro ce l’ha da chi invece non ce l’ha; chi ha la salute da chi l’ha compromessa; chi svolge un lavoro «gravoso» da chi svolge un lavoro magari non ameno ma comunque meno faticoso? Si fanno scenari allarmistici sull’occupazione post-pandemia ma il modo migliore per risolverli non è certo di prolungare ancora un generale divieto di licenziamento.
Draghi ha più volte sostenuto che occorrerà differenziare, tra le imprese, quelle con prospettive di ripresa da quelle che purtroppo non ce l’hanno più. Lo stesso dovrebbe essere fatto per i lavoratori non lontani dall’età pensionabile secondo le regole del 2011, che comunque prevedono il pensionamento anticipato con 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi di anzianità. Riqualificazione e aggiornamento sono le parole chiave, che rimandano chiaramente a un rapido miglioramento delle politiche attive. Non mancano inoltre strumenti che consentono soluzioni di tipo "assistenziale" (Ape social) e anche scelte individuali senza carichi per le generazioni giovani e future, come l’Ape volontaria e il contratto di espansione.
Questo è il tempo nel quale discutere di come prepararsi alla scadenza di Quota 100, con una transizione che «smussi» lo scalone senza perdere di vista l’obiettivo strutturale di non scardinare nuovamente il sistema previdenziale (che è ancora il più costoso in Europa). Qui entra però in ballo la spregiudicatezza politica, di cui si è visto un effetto nella scomparsa, nella versione definitiva del Pnrr, della frase che annunciava definitivamente la scadenza di Quota 100 a fine anno. Difficile non pensare che Draghi sia stato messo alle strette da una parte della sua maggioranza e che abbia sacrificato la frase (speriamo non l’intenzione) per chiudere il Pnrr. C’è però il rischio dell’inerzia. Se non si prepara attentamente la transizione, la Lega avrà buon gioco a reclamare una proroga di Quota 100 «in attesa di un provvedimento complessivo». Ma si sa, di proroga in proroga, quante occasioni ha perso il nostro Paese?