La Stampa, 30 aprile 2021
Intervista al gioielliere Mario Roggero
«Io ho in mente soltanto il rumore dello sparo. Ero lì che guardavo e ho visto quella gente che sparava a mia moglie alla gola. Ho sentito il colpo, non potevo sapere che era una pistola giocattolo. È durato una frazione di secondo. E allora gli sono saltato addosso, così com’ero, a mani nude. E poi...vabbè il resto oramai lo sanno tutti. Ma della dinamica, dei dettagli non parlo. Quello che dovevo dire l’ho già raccontato alle autorità».
Sfinito dopo più di 24 ore in piedi. Sconvolto da tutto ciò che è accaduto: il fuoco, quei corpi per terra, il sangue, la sua famiglia in pericolo, Mario Roggero mantiene però la gentilezza nei toni e nelle parole. «Non volevo uccidere, ma quando ho visto quella scena, ho rivisto il film dell’altra mia rapina».
Signor Roggero, perché ha sparato?
«Perché dovevo difendere mia figlia. Quando ho sentito urlare non ci ho visto più. Ho fatto quel che avrebbe fatto qualunque papà nella mia condizione. Sono intervenuto. Mi creda, è in casi come questo che bisogna mantenersi lucidi. E io ero lucido: sapevo che dovevo intervenire: o loro o la mia famiglia».
Ma lei ha sparato subito?
«Assolutamente no. Mia figlia Laura era a terra minacciata con un coltello. A mia moglie Mariangela avevano sparato alla gola. E allora sono corso verso di loro. Li ho affrontati a mani nude, così com’ero».
Qualcuno direbbe come farebbe un papà per proteggere i propri figli.
«Esattamente così. Sa, la mia bambina era già stata coinvolta nell’altra rapina, quella, in cui mi hanno pestato a sangue. E quelle sono esperienze che ti segnano che ti lasciano delle ferite dentro. C’è la paura, c’è l’istinto di protezione della famiglia. C’è tutto questo. Sa, anche sei anni fa puntarono una pistola alla tempia di Laura. E fu terribile per un padre assistere ad una scena così».
Signor Roggero, è vero che è da quel giorno che ha una pistola?
«Guardi la pistola la avevo da anni. Era già del mio povero papà, che è mancato tempo fa. Io non sono mai stato un amante delle armi, anche quando ero a militare non piaceva maneggiarle. Ma lui mi diceva sempre "tienila, non si sa mai. Tienila". È soltanto per quella ragione che la avevo ancora».
L’aveva già adoperata?
«Mai, mai, mai. Gliel’ho detto: io non sono un fanatico delle pistole. Non sono uno che va in giro armato. Sono un uomo che lavora, e basta».
Ha detto che ha affrontato i banditi a mani nude dapprima, perché?
«Perché sono corso in aiuto della mia famiglia. Erano in pericolo, ha capito. Lo avrebbe fatto chiunque».
E quando ha perso l’arma?
«Quando sono andato alla cassa. Era ancora tutto in corso. Ho sparato. Vede: se la tua famiglia sta rischiando la vita, se sai che sono in pericolo allora un uomo può fare qualunque cosa».
In più lei arriva da una esperienza precedente terribile, vero?
«Tutto vero. E stavolta purtroppo ha avuto un epilogo tragico».
Come stanno adesso sua moglie sua figlia?
«Mia moglie è provata. Ma chi sta peggio è la mia bambina. Capisce: l’hanno minacciata due volte. Si è trovata due volte in un condizione di pericolo».
Ha visto che l’altra sua figlia, Silvia, ha scritto sui social "Papà per me sei un eroe". È fiero?
«Silvia è molto tenera e molto delicata. Non sono un eroe. Sono un papà. E mi creda, non avrei mai voluto che finisse così, non avrei mai voluto vedere quei corpi. Ma in quel momento ero un uomo che vede minacciato tutto ciò che ha di più caro».
Che ne dice della solidarietà che ha ricevuto da Salvini?
«Lo ringrazio. Ci siamo scritti in giornata».
È riuscito a riposare?
«Assolutamente no. Sono stato fino alle 5 del mattino in caserma, poi ho avuto mille cose da fare. Adesso sento arrivarmi addosso lo sfinimento».
Che cosa farà?
«Ora io devo andare in ospedale».
Perché?
«Nella colluttazione mi sono fatto male a un ginocchio. Prima neanche me ne ero nemmeno accorto. Adesso sì, ho anch’io bisogno di cure».