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 2021  aprile 29 Giovedì calendario

Dove sono oggi i superstiti del brigatismo rosso?

L’arcipelago del terrorismo di estrema sinistra, che negli anni Settanta e Ottanta cercò – secondo uno slogan delle Brigate Rosse – di «colpire al cuore lo Stato» era estremamente articolato: si è arrivati a contare ben 43 diverse organizzazioni che usavano la violenza omicida come arma politica. Nella memoria degli italiani, però, quando si parla di terrorismo di sinistra si parla in primo luogo di Brigate Rosse, l’organizzazione fondata da Renato Curcio nel 1970. La più numerosa, strutturata e longeva, quella che attuò il rapimento di Aldo Moro tentando invano un confronto da pari a pari con lo Stato. Altri gruppi, soprattutto Prima Linea – una filiazione di Lotta Continua – ebbero un ruolo importante in quelle vicende sanguinarie, e vari altri minori cercarono di ritagliarsi un ruolo facendo mostra di ferocia «rivoluzionaria». Ma non è un caso se ancora oggi riferendosi al terrorismo rosso si parla generalmente di «brigatisti».
La storia di quella fanatica sfida allo Stato italiano è stata sostanzialmente archiviata alla fine degli anni Ottanta al carissimo prezzo di oltre 200 morti e circa mille feriti. Anche la sanguinosa «coda» delle Nuove Brigate Rosse, che nel 2002 assassinarono tra l’altro il giuslavorista Marco Biagi, è stata bloccata con un’ultima manciata di arresti e condanne. Ma dove sono oggi i superstiti del brigatismo rosso? È stato calcolato che oltre duemila militanti siano stati complessivamente inquisiti. Le condanne sono state numerosissime e pesanti, ma oggi – tra «pentimenti» e fine pena raggiunti: dopo 26 anni di buona condotta in carcere gli ergastolani hanno diritto a tornare liberi – ne rimangono effettivamente detenuti poco più di una trentina. Mentre i latitanti erano fino a ieri circa 50: soprattutto in Francia, ma anche in Nicaragua, Cuba, Brasile, Angola, Algeria. Il caso più celebre è quello di Alessio Casimirri, 69 anni, condannato all’ergastolo per aver fatto parte del commando che rapì Moro e che risiede indisturbato in Nicaragua dove ha un ristorante. Vive al sicuro in Brasile un altro stragista di via Fani, il 66enne Alvaro Lojacono.
Tra i brigatisti in carcere spiccano sette nomi di donne. È all’ergastolo Desdemona Lioce, la «nuova brigatista» classe 1959 responsabile degli omicidi di Marco Biagi e di Massimo D’Antona, arrestata nel 2003. Stessa sorte per Rita Algranati, che partecipò nel 1978 al sequestro Moro ed è stata condannata per l’assassinio di un giudice e di tre poliziotti negli anni Settanta: è stata arrestata solo nel 2004 e per questo è ancora detenuta. La Algranati ha ormai passato la sessantina, come tutti gli altri terroristi della sua epoca, che avevano mediamente meno di 25 anni. Sono donne – rinchiuse nella sezione Alta sicurezza del carcere di Latina da oltre trent’anni: tra loro Susanna Berardi e Maria Cappello – cinque degli undici cosiddetti irriducibili del brigatismo che rifiutano ogni compromesso con lo Stato e continuano a proclamarsi prigionieri politici dopo aver ricevuto l’ergastolo: i nomi più noti sono quelli di Cesare Di Lenardo (tra i rapitori del generale Usa James Lee Dozier nel 1982) e Fabio Ravalli, tra gli assassini del senatore dc Roberto Ruffilli nel 1988. Ventuno terroristi sono invece attualmente in regime di semilibertà o ammessi al lavoro esterno: fra loro c’è Mario Moretti, il capo oggi 75enne del gruppo che sequestrò Moro.
Venendo al caso specifico dei rifugiati in Francia, dei dieci condannati per terrorismo rosso che il presidente Macron ha ordinato di arrestare ne rimangono alla macchia in tre: Luigi Bergamin (ideologo dei Proletari armati per il comunismo), il brigatista Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura, condannato per l’omicidio del brigadiere Custra a Milano nel 1977 durante una manifestazione dell’ultrasinistra.