Corriere di Bologna, 29 aprile 2021
Ricordi di Gil De Ponti
Gil De Ponti, fiorentino doc del rione Lippi, ma con un legame fortissimo con Bologna e i colori rossoblù: domenica nel derby da che parte starà?
«In mezzo, ho il cuore diviso a metà, lo sanno tutti. Qui a Firenze mi pigliano in giro, “si va a Bologna e si vince”. Ma lì ci vive mio figlio Diego e lui è tutto rossoblù, curvaiolo del gruppo Mazzini».
Diego è nato nel primo anno rossoblù con Cervellati e Pesaola, nel 77/78 no?
«Quell’anno conobbi mia moglie Stefania (ora separati, ma amici). Comprammo due negozi di intimo, in Indipendenza e a Corticella, poi il ristorante Tour Eiffel, a due passi da Piazza Cavour, dove veniva sempre Dalla».
Bologna l’adottò.
«C’ho vissuto vent’anni, ho quasi più amici lì che qua, se potessi ci tornerei subito, ma dopo la malattia del ‘95 (un tumore diagnosticato male, forse legato alle «cure» calcistiche anni ’70, ndr ) le cose si sono un po’ complicate. Ora sono stabile e rasserenato».
È li che si bloccò la sua carriera da allenatore?
«Sì, avevo iniziato da poco ad Avellino come secondo di Papadopulo, un altro passato da Bologna».
Partito dalla Sangiovannese, arrivò in serie A a Cesena a 22 anni dove diventò il «figlio delle stelle».
«S’era giovani, ci si divertiva. Grande squadra il Cesena, con tanti amici, arrivammo in Uefa».
E l’anatra al guinzaglio?
«Gli stavo dando un po’ di mangime e lei mi saltò dentro alla Porsche cabriolet… si piazzò lì e non voleva scendere, la portai in giro per la città, poi si mise a cacare e fece un disastro».
Esuberante, allegro e scapigliato. Anche a Bologna.
«Però la domenica in campo davo tutto. Fu un anno movimentato, ma ci salvammo. L’ultima partita con la Lazio fu un po’ “così”, diciamo che ci s’aiutava».
Con chi usciva, dove andava?
«A cena un po’ con tutti, da Massimelli a Bellugi e gli altri, poi nel dopocena io, Fiorini e Chiodi spesso finivamo in Capannina».
Un bel tridente d’attacco, in campo e fuori.
«Se non ti diverti a quell’età! Comunque, ripeto, ci salvammo».
Grazie ai suoi gol, sette, quasi tutti belli e soprattutto decisivi.
«È vero, ogni tanto li riguardo su internet, fa piacere».
Pesaola però non lo riconfermò.
«Io sarei rimasto per sempre. Feci tre anni fantastici ad Avellino, ma tornai quando vendettero Mancini. Dalla B alla C, un’annataccia. Rimasi anche in C con Cadè e tornammo su, ma poi Brizzi e Recchia mi liquidarono».
Fu Adelmo Paris a recuperarlo?
«Mi chiamò da Malta e io dissi “sì”. Giocavamo nel Zurrieq, facemmo anche la Coppa delle Coppe. Conclusi però la carriera nell’Osimana, chiamato stavolta da Cimpiel: dovevamo salvarci e ci salvammo. Ho sempre giocato per non retrocedere. Mi spiace solo non aver giocato con la Viola, a cui però rifilai, esultando, una tripletta in Coppa Italia con l’Avellino».
Le mancano gli arbitri?
«Ci “leticavo” sempre, mi conoscevano a memoria. Mi trovavo bene col fiorentino Menicucci, poi Casarin e gli altri. Si parlava, ci si mandava a quel paese, ma loro i “vaffa” li accettavano, erano bravi».
Non aveva un «nemico»?
«Rosario Lo Bello. Una volta che fischiava solo per gli altri gli andai davanti, mi calai i calzoncini, mi girai e gli dissi “vabbè, mettimelo direttamente qui che fai prima”: rosso diretto. Un’altra volta, contro il Vicenza di Rossi, dopo un corner fischiò alla cieca nel mucchio, io mi misi a ridere e lui mi espulse. Lui era così».
Cosa pensa del Var?
«Mi piace e non mi piace, va calibrato perbenino. Senza Var le piccole subivano di più. Sudditanza a mille. Ma le grandi vengono favorite anche oggi, tranquilli».
Domenica che partita sarà?
«A Firenze hanno speso molto e sbagliato la squadra, debole in difesa, un po’ come il Bologna, ma con un ottimo centravanti, così come i rossoblù hanno Orsolini. Ai viola basta un pareggio. Sinisa, che mi piace perché ti carica tipo Mazzone, vorrà vincere: ha perso tanti punti per strada. Io dico “x”».
Peccato non essere al Dall’Ara.
«Avrei rivisto gli amici del venerdì, Pecci, Colomba, Trevisanello... Da un anno non salgo per precauzione, Bologna mi manca, spero di tornare il 14 luglio per il compleanno mio e di mio figlio. Ne faccio 69, un bel numero, ma non abbastanza per essere vaccinato, sono in attesa».