Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 29 Giovedì calendario

Paolo Calabresi e il ritorno di Boris

«La diversificazione è stata importante nella mia vita». Ne è consapevole Paolo Calabresi. Romano, classe 1964, cresciuto a pane e Strehler, padre di quattro figli (tra i quali Arturo, calciatore professionista al Cagliari) che ha saputo spaziare molto nel proprio percorso artistico, facendo l’attore, il regista, il conduttore tv e radiofonico, ma soprattutto il trasformista.
Dopo tre stagioni e un film, quest’estate tornerà nei panni dell’elettricista Biascica nel quarto Boris?
«A distanza di dieci anni, la squadra è pronta a tornare, con tutti i segni del tempo. Il tempo è passato anche nel mondo della tv. Non siamo più schiavi di prodotti come Gli Occhi del Cuore 2. Oggi puoi scegliere. Basti pensare alle piattaforme, che si stanno divorando il mondo dell’audiovisivo, applicando ferree regole interne, frutto di una globalizzazione dell’etica professionale, che a noi italiani possono risultare "un po’ sopra le righe". Il nuovo Boris racconterà questo nuovo mondo, sempre senza prendersi troppo sul serio, con il linguaggio ironico che ha caratterizzato una serie ormai diventata un cult».
Qual è il segreto del successo di una serie, che si è occupata di raccontare il vostro mondo di «addetti ai lavori»?
«La verità del racconto. Cito un aneddoto "borisiano" che ho vissuto personalmente. Quando uscì la serie, alla festa di un amico, mi sono ritrovato a parlare con un grosso produttore televisivo. Il fenomeno Boris era sulla bocca di tutti, ma lui, con quello snobismo odioso che spesso caratterizza noi "gente del cinema", arrivò a definire Boris, pur essendosi divertito, "troppo circoscritto agli addetti ai lavori" e che "non sarebbe mai arrivato al pubblico". Sappiamo com’è andata… beh circa un anno fa me lo sono ritrovato su un set. Ovviamente non si ricordava nulla, e mi disse con grande faccia tosta che già all’epoca dell’uscita lui aveva capito che quel prodotto sarebbe andato oltre, un microcosmo sul mondo del lavoro e delle relazioni sociali in genere».
Si riparte, nonostante le gravi perdite che avete subito.
«Abbiamo affrontato una serie di lutti importanti: dalla scomparsa di Mattia Torre, uno dei creatori della serie, a cui ha dedicato tutto se stesso, passando per Roberta Fiorentini, la segretaria di edizione, Itala. Ma vorrei ricordare anche Arnaldo Ninchi, straordinario attore di teatro, che nelle prime due stagioni ha interpretato il Dottor Cane senza mostrare mai la propria faccia».
Tornando alle piattaforme, oggi i contenuti sono prevalentemente nelle loro mani, c’è speranza per la sala?
«Chiunque appartiene al nostro mondo oggi ha un grosso compito: far capire l’importanza dello spettacolo dal vivo, nel quale io colloco anche il cinema. Quando guardiamo un film in sala, condividiamo delle emozioni con dei perfetti sconosciuti, mentre la visione domestica è rarefatta, diluita, distratta dai cellulari. Dobbiamo ritrovare l’abitudine di uscire di casa ed entrare in un teatro o in un cinema, ne ha bisogno la nostra anima».
Cosa le ha lasciato l’esperienza a «Le Iene»?
«L’importanza della spigliatezza di fronte alla telecamera, da distinguersi assolutamente dalla macchina da presa. Un attore si nasconde sempre dietro a un personaggio, è l’essenza del suo mestiere. Chi fa televisione invece deve essere se stesso. I più grandi uomini di tv, mi viene in mente l’amico Fabrizio Frizzi, sono quelli che hanno avuto la capacità di essere autentici agli occhi del pubblico».
Ci racconta dello scherzo mai andato in onda a Venditti?
«Risale al mio periodo pioneristico, ai tempi del programma Libero. Nell’anno dello scudetto mi finsi Fabrizio Lucchesi, ex direttore sportivo della Roma. Chiamai al telefono Antonello Venditti per comunicargli che la società aveva scelto un altro inno per la squadra, "Io Ballo col Lupo", che sarebbe stato cantato da Claudio Baglioni. Non dimenticherò mai la sua reazione, mi ha urlato la qualunque.