Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 29 Giovedì calendario

Capitali sauditi per Valentino Rossi

Un pieno di petroldollari, per l’ultimo sogno di Valentino Rossi. Il nove volte campione del mondo ha trovato capitali sauditi per creare una sua squadra da schierare sulla griglia di partenza della MotoGp. Debutterà l’anno prossimo l’«Aramco Racing Team VR46», l’annuncio ha provocato un terremoto nell’ambiente delle corse e non solo. 
Dietro all’operazione si muovono gli interessi personali di Rossi, intenzionato a proseguire la carriera in un altro ruolo, da manager, quando avrà smesso di correre. E a dare continuità e stabilità finanziaria all’Academy di Tavullia per i giovani piloti.
Poi ci sono gli interessi economici della Dorna, la società organizzatrice del Motomondiale, che non ha intenzione di perdere la presenza del Dottore, in qualunque forma, e il suo seguito. E quelli geopolitici dell’Arabia Saudita, che sta riversando miliardi nello sport: Formula E, Supercoppa italiana, il rally Dakar e da quest’anno anche la F1 a Gedda. Per le moto è solo questione di tempo, a Qiddiya stanno costruendo una pista.
Amnesty e le altre associazioni per i diritti umani da tempo denunciano la politica di «sportwashing» di Riad, utilizzata per distogliere l’attenzione dalla feroce repressione contro gli oppositori. E per tentare di pulire l’immagine di un Paese macchiata dall’assassinio di Jamal Kashoggi. 
I nuovi compagni di viaggio di Rossi sono l’Aramco, la compagnia petrolifera di Stato, dal 2020 main sponsor della Formula 1; e la Tanal Entertainment Sport & Media, la holding del principe Abdulaziz Bin Abdullah Al Saud, uno dei membri della famiglia reale. Cinquantotto anni, figlio di re Abdullah – scomparso nel 2015—, è stato viceministro degli esteri, ma è anche molto attivo negli affari. 
Con la V46 ha stretto un accordo di cinque anni, parla di joint-venture e «visioni comuni», di «sinergie». La scuderia di Valentino gli servirà come piattaforma per far conoscere al mondo la «Vision 2030», il piano di rilancio del Regno che punta a trasformare l’economia per non dipendere solo dal petrolio. I primi contatti fra Rossi e i sauditi risalgono a due anni fa, a far da tramite è stato l’architetto umbro Marco Bernardini. Da consulente personale del principe si sta occupando di realizzare le nuove megalopoli nel deserto. 
In una di queste, Neom sul Mar Rosso, era previsto uno spazio dedicato al mito delle due ruote. Sul fronte arabo fra gli advisor della holding figura un altro italiano, Pasquale Lattuneddu. Era il braccio destro dell’ex patron della F1 Bernie Ecclestone. Il suo nome suggerisce che un’operazione simile possa essere replicata in Formula 1. 
Per Rossi più delle implicazioni «politiche» contano quelle sportive. È chiaro che potrà disporre di un budget enorme, l’obiettivo della futura squadra sarà lottare per vincere. Prendersi quelle soddisfazioni che a 42 anni, in sella alla Yamaha-Petronas, ha smarrito: vittorie, podi, l’ultimo successo risale al 2017.
Nel mosaico mancano alcune, fondamentali, tessere. Valentino partirà con la nuova avventura da capo squadra o da pilota? Sul ritiro non ha ancora deciso, la tentazione di una «last dance», circondato dai suoi uomini di fiducia esiste. Trovare un costruttore disposto a fornirgli le moto sarà facile, c’è già la fila: Suzuki, Aprilia, o Ducati. Se Vale decidesse di correre per un altro anno poi, potrebbe far coppia con il fratellino Luca Marini. Per la felicità, e la paura, di mamma Stefania. Per la gioia degli sponsor arabi.