la Repubblica, 28 aprile 2021
In morte di David Beriain
C’è una massima che a David Beriain piaceva ripetere: «Nessun reportage vale la vita di una persona». Ce lo ricorda, scosso dalla perdita dell’amico appena confermata dal premier Pedro Sánchez, uno dei grandi reporter di guerra spagnoli, Alfonso Armada, oggi presidente della sezione locale di Reporters sans Frontières. «David era coraggioso e cauto. Si immergeva a fondo nelle storie che voleva raccontare. Ci mancherà tantissimo». Una cautela che questa volta non è stata sufficiente per uscire illeso dall’inferno del Burkina Faso, dove ha perso la vita insieme al cameraman Roberto Fraile (lunghi anni di esperienza sul teatro dei conflitti armati, dall’Afghanistan all’Iraq alla Libia) e all’attivista irlandese di una Ong che li accompagnava per realizzare un reportage per MovistarTv sulla caccia di frodo nell’est del Paese africano. Forse Beriain, 44 anni, originario della Navarra, non temeva che questa fosse la missione più difficile, quella che gli sarebbe costata la vita, lui che da vent’anni non solo batteva i principali scenari di guerra, ma indagava anche sulle storie più delicate, i temi più spinosi, dai narcos al traffico di esseri umani.
«Era un giornalista investigativo navigato – dice Armada – con uno spirito tenace che lo portava al cuore della notizia: dagli accampamenti delle Farc in Colombia al cartello dei narcotrafficanti di Sinaloa in Messico. E persino tra i talebani in Afghanistan». Un lavoro sempre in prima linea che lo ha portato a vincere numerosi premi giornalisti e alla nomination agli Emmy per il reportage “Latinos nel corridoio della morte”. Ma è stato anche finalista dei Goya, i premi del cinema spagnolo, come regista della pellicola “Percebeiros”.
In Spagna, Beriain era da anni uno dei volti più conosciuti in televisione. Soprattutto a partire dal 2008, quando riuscì a entrare ocn una telecamera in un accampamento della guerriglia colombiana. Il reportage “Dieci giorni con le Farc” fu un grande successo e fu finalista del Bayeux-Calvados, uno dei più prestigiosi premi internazionali per i corrispondenti di guerra. Da allora, con il programma “Rec” di Cuatro (rete di Mediaset España) ha realizzato servizi di grande impatto per l’opinione pubblica, come l’intervista in Afghanistan al comandante dei talebani che aveva ordinato l’assassinio di due militari spagnoli. Per Antena3 registrò un reportage sulla crisi nucleare a Fukushima. Ma uno dei suoi documentari di maggior successo è stato “El ejército perdido de la Cia”, sull’etnia hmong, di origine cinese, che viveva nel Laos e combattè insieme agli Stati Uniti in Vietnam. Lavori realizzati per i maggiori network e curati dal 2012 dalla casa di produzione 93 Metros, creata da Berain per raccontare i più importanti conflitti in corso in tutto il pianeta.
David Beriain era molto conosciuto anche in Italia per la serie di documentari “Il mondo dei narcos”, un viaggio alla scoperta dei cartelli della droga colombiani e messicani. Ma un’ombra sul suo lavoro giornalistico è stata gettata un mese fa dalla procura di Milano che aveva iscritto Beriain nel registro degli indagati per truffa insieme ad altre tre persone. Secondo l’indagine dei carabinieri, il programma sulla ‘ndrangheta della serie clandestino, trasmesso nel 2019 sul canale Nove era un fake. Al posto di vere testimonianze, sarebbero stati presentati attori che recitavano una parte. Un’accusa infamante per la quale il giornalista non ha avuto il tempo di difendersi.