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 2021  aprile 28 Mercoledì calendario

Intervista ad Allyson Felix

L’ultima uscita, sabato nel nuovo Hayward Field di Eugene in occasione della prima tappa Gold del Continental Tour, non è stata particolarmente brillante. Nei 100, complici condizioni meteo proibitive (14° e pioggia), dopo un 11”25 in batteria con vento oltre il limite (+2.4 m/s), è stata settima in 11”30 (+1.2). In linea peraltro con quanto ottenuto venti giorni prima a Phoenix, nell’esordio stagionale all’aperto: 11”31 con vento nullo. Dopo un 2020 quasi senza gare, è anche comprensibile. Resta che Allyson Felix, 35 anni compiuti in novembre, sei ori e nove medaglie olimpiche più tredici ori e diciassette medaglie mondiali, sulla strada che porta ai Giochi di Tokyo è una delle atlete più attese. Per i tanti ulteriori record in fatto di numero di podi che, se ci arriverà, potrà migliorare. E per i tanti messaggi anche extrasportivi che potrà nel caso veicolare. Intanto la statunitense, via zoom, è come sempre disponibile e mai banale.
Allyson, come ha vissuto il posticipo dell’Olimpiade?
«All’inizio, naturalmente, ci sono rimasta molto male. Ma presto, a fronte di così tanti decessi, perdita di posti di lavoro e di normalità, ho capito che non si poteva fare proprio altrimenti».
Alla sua età, però, un anno significa molto...
«Sportivamente parlando, accettare la situazione e ripartite non è stato per niente facile. Ma alla fine ho cercato di sfruttare a mio vantaggio il periodo, per esempio curando aspetti della preparazione che spesso si trascurano».
Quali le difficoltà maggiori relative?
«La mia famiglia ha fatto molti sacrifici per permettermi di avere questa opportunità, mio marito Kenneth (l’ex ostacolista Ferguson, ndr) si è anche messo in aspettativa. Il rinvio ha ulteriormente complicato i piani, non è stato facile». 
A Los Angeles, la sua città, le misure restrittive sono state rigorose: come ha ovviato?
«Le piste sono rimaste chiuse a lungo. Anche per noi professionisti. Così, insieme al mio coach Bob Kersee, ho improvvisato di volta in volta, a seconda delle circostanze».
Facendo cosa?
«Mi sono allenata per strada, davanti a casa: Bob misurava i percorsi con la rotella metrica e io facevo le ripetute sui 150 con i vicini affacciati a fare il tifo. Ho corso anche in spiaggia, praticamente ovunque fosse possibile».
Che cosa le ha insegnato questo periodo?
«A capire quali devono essere le priorità, non solo da un punto di vista sportivo».
Come valuta la sua attuale condizione?
«Di recente siamo stati un mese in raduno in Arizona: queste prime gare mi servono giusto per capire a che punto sono».
Le volate di Eugene l’hanno soddisfatta?
«Ho tolto un altro po’ di polvere dai miei muscoli: sono contenta di essere ripartita e so bene che mi attende ancora tanto lavoro».
Nelle ultime stagioni ha puntato soprattutto sui 400: quali sono, ora, le prospettive?
«In giugno, ai Trials, vorrei partecipare sia ai 200 sia ai 400: ma se capirò che sarà meglio concentrarmi solo su una specialità, sono pronta a cambiare i piani in corsa».
Se si qualificherà, quella di Tokyo sarà la sua quinta Olimpiade: oltre, per lei, vede un futuro da atleta?
«Quel che è certo è che a Parigi 2024 non ci sarò. Per il resto non mi pongo scadenze precise. Vivo un po’ alla giornata».
Al suo gruppo, nei mesi scorsi, s’è aggiunta Sydney McLaughlin, vice campionessa del mondo dei 400 ostacoli a 20 anni: ha davvero un talento come pochi?
«Non solo: per l’atteggiamento, la voglia di fare e di imparare, in lei rivedo me ragazzina. Mi piace poter essere un suo riferimento».
Lo è diventata per tante: le sue battaglie a favore delle atlete-mamme hanno fatto breccia...
«Mia figlia Camryn è nata prematura, di 32 settimane, nel novembre 2018: ha cambiato la mia vita. Il parto d’emergenza e i giorni successivi sono stati difficili. Come è stato difficile vedere certi sponsor allontanarsi perché, nel mentre, non ho potuto gareggiare. Solo dopo ho acquisito consapevolezza dei rischi corsi e di come la maternità, in certi ambienti, viene vista».
Concretamente, come mette a frutto la sua esperienza?
«Adesso affiancando alcune associazioni come testimonial e appoggiando alcune campagne come CDC’s Hear Her e Better Starts For All, mi spendo affinché le mamme-atlete sappiano a cosa vanno incontro e vengano adeguatamente tutelate».
Se si qualificherà, porterà Camryn con lei a Tokyo?
«Vederla in tribuna alla mia ultima Olimpiade sarebbe la realizzazione di un sogno: lei è tutto per me, vale più di qualsiasi medaglia, più di ogni record. Ma la situazione pandemica temo non me lo consentirà. Vedremo. Intanto mi pongo un problema: cosa succederà alle atlete che, durante i Giochi, dovranno allattare?».
Negli ultimi mesi non ha esitato nemmeno a prendere posizione sui tanti temi sociali emersi soprattutto negli Stati Uniti...
«La crisi economica legata al Covid-19 si è fatta sentire soprattutto sulla popolazione di colore e io, da mamma appartenente a quella comunità, non posso preoccuparmi del futuro dei nostri figli».
Ha fatto riferimento all’età della McLaughlin: lei a 18 anni disputava l’Olimpiade di Atene vincendo l’argento su 200. Quanto è cambiata da allora?
«Molto, moltissimo. Sono completamente diversa. Adesso, quasi da qualsiasi situazione, so cosa aspettarmi e come uscirne. E tecnicamente ho imparato a gestirmi, anche in allenamento. So bene come prendere cura del mio corpo». 
A Tokyo andrà per...?
«I miei obiettivi non cambiano: voglio di nuovo assaporare la gioia di salire sul podio olimpico e ispirare al maggior numero di persone possibile».