Il Messaggero, 27 aprile 2021
Intervista a Gavin Francis
«Siamo sempre connessi, non è normale. Basta avere uno smartphone per essere convinti di trovarsi al centro del mondo, ma è solo una bugia». Maglione azzurro a collo alto che fa pendant con il colore degli occhi e un sorriso rassicurante, Gavin Francis – 46enne – è un medico, uno scrittore, ma più di ogni altra cosa è un grande viaggiatore che non si pone limiti. Parla un ottimo italiano e via Skype si racconta da casa propria, a Edimburgo. Francis ha visitato le isole Faroe e la Patagonia, ha trascorso quindici mesi all’Antartide aggregato a una spedizione medica britannica e un paio d’anni dopo, con sua moglie, ha viaggiato diciotto mesi in moto, dalla Scozia sino alla Nuova Zelanda. Una vita avventurosa che, in questi tempi fatti di zone colorate e coprifuoco, fa sognare. Una passione che riverbera fra le pagine di Isole. Cartografia di un sogno (Edt, traduzione di Anna Lovisolo), un libro ricco di suggestioni in cui racconta l’evoluzione della cartografia con 90 mappe, unite a ricordi personali e moltissime citazioni letterarie, giungendo ad un concetto controcorrente: «Un po’ di isolamento fa bene alla mente, abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi fuori dalle mappe».
Un medico con la passione della cartografia. Com’è nato tutto?
«Ho sempre avuto un grande interesse per le mappe sin da bambino. A quattordici anni, ho cominciato a sfogliare gli atlanti di anatomia e le due passioni hanno iniziato a sovrapporsi. Ho scelto la medicina, un mestiere che mi ha portato in tutto il mondo, partecipando a spedizioni scientifiche in terre estreme. Sì, viaggiare è sempre stato il mio sogno».
Nelle vecchie mappe c’era un motto Hic Sunt Leones per mettere in guardia i viaggiatori incauti. Oggi cosa ci fa paura?
«Il vero problema è che vogliamo esplorare il mondo seduti in poltrona. Non guardiamo più le mappe, ci limitiamo ad accendere lo smartphone e quel cerchio blu su Google Maps ci geolocalizza ma ci illude, non siamo sempre al centro del mondo».
Cosa ci siamo persi?
«Non dobbiamo mai dimenticare che il mondo vero è là fuori. E ci sta aspettando».
Ha iniziato a scrivere questo libro nel 2019 poi è arrivato il Covid. Oggi parlare di isolamento non è un paradosso?
«Al contrario, in questo orribile anno abbiamo imparato a vivere in isolamento ma siamo sempre immersi in un mondo digitale, costantemente connessi. Oggi più che mai dobbiamo imparare l’importanza di stare insieme, intendo proprio fisicamente nella stessa stanza ma sconnessi dal mondo digitale».
Perché?
«Le conseguenze le ho viste con i miei occhi: il numero di adolescenti depressi e dei miei pazienti adulti con disturbi mentali è raddoppiato nel giro di un anno».
Di recente ha scritto due saggi, Intensive Care e Covid-19 and Word Order (inediti in italiano). Da medico le chiedo, quanto ci vorrà per sentirsi sicuri?
«Un anno ancora per analizzare le varianti, poi torneremo ad abbracciarci, spero. Ma l’umanità ha già vissuto terribili pandemie, non dimentichiamolo».
Ne avremo altre?
«Verranno ma speriamo fra almeno cinquant’anni (e scoppia a ridere)».
Da scozzese, sogna l’indipendenza?
«La Brexit non l’abbiamo proprio digerita. L’Inghilterra ci ha strappato all’Europa ma noi non molliamo».
Lei è padre di tre figli: è difficile essere dei bravi genitori al tempo dei social network?
«Molto. Ci sono studi che dimostrano che gli adolescenti completamente sconnessi hanno problemi a socializzare e d’altra parte, chi li usa più di tre-quattro ore incontra difficoltà a relazionarsi».
È una questione di equilibrio?
«Con mia moglie abbiamo stabilito un limite di un paio d’ore al massimo per tutti, noi compresi, ma gli smartphone ci rubano il tempo».
Il suo viaggio più sorprendente?
«Quindici anni fa, in moto con mia moglie. Siamo stati in viaggio diciotto mesi, dalle Scozia alla Nuova Zelanda, attraversando lentamente Olanda, Pakistan, Malesia e la Siria a bordo di una Bmw, godendoci ogni momento».
Partire e mollare tutto, si può fare sul serio?
«Ci vuole un pizzico di follia, lo ammetto. Sono andato in banca, ho preso tutti i soldi che avevo guadagnato con la spedizione medica in Antartide, abbiamo fatto i bagagli e siamo partiti. Spero di non perdere mai il coraggio di mettermi in viaggio».
Oggi dov’è il confine del mondo?
«L’Antartide, sempre l’Antartide. È una terra neutrale, estrema come un’idea. Per arrivarci, ho viaggiato due mesi su una nave rompighiaccio, festeggiando il Natale del 2002 fra i ghiacci. Un giorno ci tornerò, spero».
Satelliti e gps. C’è qualcosa che rimane fuori dalle mappe?
«C’è sempre qualcosa da esplorare. Le grandi foreste del Canada, i deserti africani e il mare aperto luoghi estremi in cui possiamo ancora sentire il respiro del mondo».
E appena sarà possibile, dove andrà?
«In Sicilia con mia moglie, non vedo l’ora. Abbiamo visto Palermo e da lì la Tunisia ma ci manca tutta la costa orientale, da Messina in giù».
Isole è pieno di citazioni, da D.H. Lawrence a H.D. Thoreau. Come mai?
«I libri mi spingono a viaggiare. Prima leggo e dopo, inizio a fare i bagagli».
Mollare tutto per un’isola deserta, lo farebbe?
«Non adesso, un domani chissà».