Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 27 Martedì calendario

Intervista a Nicola Giuliano

93esimi Oscar, ha vinto, ed era scritto, Nomadland: miglior film, regia (Chloé Zhao è la prima donna cinese, la prima di colore, la seconda dopo Kathryn Bigelow) e attrice protagonista, con il triplete di Frances McDormand. Ha perso, e non era detto, il cinema italiano: a bocca asciutta Laura Pausini con la canzone Io sì (Seen) di La vita davanti a sé e Pinocchio, con make up & hair (Mark Coulier, Dalia Colli e Francesco Pegoretti) e costumi (Massimo Cantini Parrini). A tenere alto il tricolore è stato il sempiterno Fellini, celebrato due volte durante la cerimonia.
Nicola Giuliano, dopo Federico il diluvio?
Avevamo tre candidature importanti, ancor più per titoli non di lingua inglese.
Eppure La grande bellezza è stato l’ultimo italiano candidato e premiato quale film straniero: l’ha prodotto lei, era il 2014.
Poi abbiamo avuto Call Me by Your Name di Luca Guadagnino candidato Best Picture e premiato per la sceneggiatura di Ivory, trucco e acconciatura di Suicide Squad: se facciamo un parallelo con le altre cinematografie, ne usciamo alla grandissima.
Più che a Hollywood, nemo propheta in patria?
In Italia abbiamo una visione distorta: la percezione del nostro cinema all’estero è decisamente più lusinghiera.
Esempi?
Juliette Binoche, attrice premio Oscar sul set di un esordio italiano, L’attesa di Piero Messina: “È un momento straordinario per il vostro cinema, magari fosse così da noi…”. Era il 2015, e le cose sono migliorate.
Rimaniamo a bocca asciutta, però.
Entrare in cinquina è difficilissimo, e ve lo dice uno che la campagna l’ha fatta, con Paolo Sorrentino, in prima persona: non avevamo Weinstein per La grande bellezza, ma Janus Film, che non ha versato un centesimo.

Youth prese una nomination per la canzone,  Il Divo per il make-up: non si discute la vostra fortuna, ma i colleghi?
Quel che mi sento di rimproverare è la campagna Oscar: molti candidati a film straniero dopo La grande bellezza non l’hanno fatta, non una vera e propria. E serve.
Ci spieghi.
Io e Paolo da settembre 2013 a marzo 2014 passammo negli Usa almeno quindici giorni al mese. Tutte le sere non abbiamo fatto altro: proiezioni, domande del pubblico, cene che gli estimatori de La grande bellezza offrivano ai votanti, per creare simpatia e affezione.
Un lavoraccio.
Una sera stavamo a New York, nevicava, avevamo già fatto quattro Q&A (dibattito post film), ne avevamo un quinto alle 21.30 al Lincoln Plaza. Paolo non ce la faceva più, voleva andare a riposare, chiamai la nostra pr per disdire: “Ok, possiamo annullare, certo, ci sono dodici votanti prenotati”. Riferii a Paolo, non batté ciglio: “Andiamo”. Era un lavoro, e ce l’eravamo promesso: “Nessun rimpianto”. Janus voleva farci uscire a gennaio, io pretesi novembre: “Altrimenti strappo il contratto”. È andata bene. Anche Il traditore di Bellocchio avrebbe potuto, se il distributore Sony Classics non avesse preferito puntare su Almodóvar. Ma…
Che cosa, Giuliano?
Siamo fighissimi noi italiani, non condivido il pessimismo.
Nondimeno l’unico regista di cui si sia parlato a questi Oscar è Fellini.
Il nostro passato ci condiziona tantissimo. Tutta la vita, produttori, attori e sceneggiatori, ci sentiamo dire: “Eh, ma Ponti; eh, ma Sordi; eh, ma Age e Scarpelli”. Non siamo dei nani sulle spalle dei giganti, i giganti li abbiamo sulle palle.
Soluzione?
Fregarsene dei giganti, sicché i nostri film abbiano maggiore libertà. Ovvio, servirebbe meno fuoco amico: in casa La grande bellezza lo hanno massacrato, solo dopo l’Oscar abbiamo sentito “in fondo, non è malaccio”. Giudicateci per quello che siamo, non per quello che non possiamo – né vogliamo – essere.
Fellini lo ha citato lo stesso Sorrentino nei ringraziamenti per l’Academy…
Sì, ma anche Maradona, Scorsese e i Talking Heads.
Giuliano, ce l’ha forse con la stampa?
Abbiamo Paolo, Garrone, Guadagnino, Pietro Marcello, i D’Innocenzo e che facciamo, ci spariamo addosso da soli?! Non c’è un moto d’orgoglio.
Dunque?
Sicilian Ghost Story di Piazza e Grassadonia è andato ovunque, ricevendo critiche entusiaste: la stampa nostrana lo ha linciato. Fate uno sforzo pure voi critici.
Che c’è dietro il culto dei giganti del passato?
Una tradizione straordinaria, che affonda nel Neorealismo, quindi Rosi e parzialmente Petri: chi si scosta dal realismo, chi scarta da De Sica e Rossellini viene colpito, vedi Sorrentino, vedi Grassadonia e Piazza, vedi La doppia ora, il thriller parapsicologico di Giuseppe Capotondi a Venezia 2009, e vedi Favolacce dei D’Innocenzo. Urge aprirsi, accettare di rimanere spiazzati. Dimenticavo, Perfetti sconosciuti: ha conquistato il mondo.
Tutti uomini: le donne le dimentica o che?
Tre volte a Cannes, con due premi, Alice Rohrwacher è ormai al livello di Sorrentino, Garrone e Guadagnino. Francesca Mazzoleni si farà, ecco forse c’è già Susanna Nicchiarelli.