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 2021  aprile 26 Lunedì calendario

Intervista a Fausto Bertinotti

“Qui siamo nel campo delle ossessioni”. Fausto Bertinotti risponde a Romano Prodi e scomoda categorie della psicanalisi. Il professore l’aveva chiamato in causa per descrivere le fibrillazioni di Matteo Salvini nel governo Draghi: il leghista si è “bertinottizzato”, dice l’ex premier dell’Ulivo. Bertinotti ci ride su: “Questa battuta l’aveva fatta già ai tempi di Renzi. Dopo un quarto di secolo bisognerebbe avere ricordi memorabili, Prodi invece coltiva la sua ossessione personale. Il responsabile della crisi fu Prodi medesimo, ma è inutile tornarci: era un altro secolo, un altro mondo”.
Veniamo al presente. Che ne pensa delle agitazioni di Salvini?
Non posso dire che il tema mi appassioni, mi paiono puramente strategiche. Sfumature tattiche nella destra populista: Salvini sta al governo nello stesso modo in cui Meloni sta all’opposizione. Si contendono la guida del centrodestra.
La appassiona invece il dibattito sul Recovery Fund? Come giudica il piano di Draghi?
Non mi pare così diverso da quello di Conte, sostanzialmente si muove sulla stessa linea. Abbiamo due problemi giganteschi. Il primo: l’Europa e il suo carattere sempre più oligarchico. C’è una messa in mora della democrazia rappresentativa negli stati europei. In questo non vedo una diversità qualitativa tra il governo di Conte e quello di Draghi: sono entrambi figli di questa tendenza.
E il secondo?
Il modello di sviluppo. I piani dei due governi si somigliano perché sono all’ interno dello stesso processo di ristrutturazione capitalistica. È bandita ogni ipotesi di riforma sociale. Ci sono temi che neppure si possono neppure nominare: un intervento fiscale radicale nei confronti delle grandi ricchezze; un contrasto al potere dei giganti della tecnologia; un’azione vera di contrasto delle diseguaglianze. In Europa e in Italia non sono all’ordine del giorno.
La sinistra non è all’ordine del giorno.
La sinistra è nella società, in tante esperienze dal basso, di autogoverno. Di certo non è nei partiti: c’è un “popolo degli abissi”, come scriveva Jack London, privo di rappresentanza. Il centrosinistra oggi è una componente puramente governativa. E l’Italia galleggia nello scontro tra un assetto tecnocratico (che contiene il centrosinistra) e una destra rozzamente populista.
Non ha fiducia – eufemismo – in uno schieramento progressista sull’asse Pd-Cinque Stelle.
Ma la sinistra per poter interloquire con un’altra realtà, come i Cinque Stelle, prima deve esistere come tale. La sinistra è lotta alle diseguaglianze, ma il partito dell’eguaglianza in Italia non c’è. Lei è in grado di riconoscere una posizione critica di sinistra, da parte del Pd, sul recovery plan?
Era solo un’illusione credere che dalla pandemia uscisse un’Europa diversa?
L’Europa è cambiata, in parte, seguendo il corso degli eventi. L’austerity non è più un dogma e sono state intraprese politiche monetarie espansive: il recovery è figlio di questo nuovo ciclo. Ma resta molto in comune con l’impostazione precedente: l’inesistenza della riforma sociale. Il cambiamento è uno spasmo di sopravvivenza del sistema economico, è indotto dal primato del profitto, dell’impresa, del mercato; dall’esigenza di evitare una recessione ingovernabile. Ma non c’è riforma sociale, la questione delle diseguaglianze è ignorata.
Però c’è un nuovo spirito ecologista.
Molto bene, ma le rispondo con una battuta di Chico Mendes: “L’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”. Vorrei sollevare, infine, un’obiezione di merito.
Quale?
Le pare possibile che il recovery plan possa essere discusso dal Parlamento italiano in due giorni? Il parlamento possa ancora chiamarsi tale? È il risultato di anni di svuotamento democratico, le istituzioni sono profondamente impoverite.