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 2021  aprile 25 Domenica calendario

La casa dei soldi di zio Paperone compie 70 anni

Ideato da Carl Barks nel 1951, il palazzo ha assunto la sua fisionomia grazie ai disegnatori italianiAvevano proprio ragione gli antichi: i luoghi hanno un’anima. Non nel senso di un fantasma che li abita, ma in quello della personalità, della capacità di protagonismo, dell’identità che li contraddistingue. Vale per i luoghi reali, come per quelli immaginari. Se il vostro pensiero adesso sta andando alla Casa del Nespolo, alla via Pál o alla Metropolis di Fritz Lang, sappiate che il fumetto non fa eccezione alla regola. E, nel mondo dei comics, pochi luoghi hanno più anima del fantomatico Deposito di Paperon de’ Paperoni, l’edificio-forziere in cui il fantastimiliardario più famoso di Paperopoli conserva tutti i suoi averi, compiacendosene. Una vera e propria «estensione» del personaggio nato dalla fantasia di Carl Barks, l’uomo che striscia dopo striscia allargò l’universo di Walt Disney con la saga dei paperi. Perché i tuffi nella piscina di monete d’oro, la teca di vetro che custodisce la leggendaria “numero uno”, quella monetina da dieci centesimi da cui il nostro eroe partì per accumulare le più grandi ricchezze della terra, e la “esse barrata” che domina la facciata del palazzo sono essi stessi l’amato/odiato Zio Paperone. Chiunque abbia mai aperto un albo Disney potrà facilmente testimoniare. Non tutti sanno, però, che il Deposito esiste da esattamente 70 anni: debuttò a soli quattro anni dalla prima apparizione del suo legittimo proprietario. Che – è bene ricordarlo – forse è il più letterario tra i personaggi disneyani, direttamente ispirato allo Scrooge del Canto di Natale di Charles Dickens. Di più: Zio Paperone «è» Scrooge McDuck, nella versione in lingua inglese delle avventure paperopolitane. E, persino più dello Scrooge dickensiano, questo particolarissimo capitalista che abita un mondo senza lotta di classe ha un rapporto “affettivo” con i soldi che, tra le sue braccia, diventano «pargoletti». Se le sue caratteristiche – ricchezza, avidità, avarizia- rappresentano una costante da 70 anni a questa parte, il deposito che ne ospita gli averi, nel corso del tempo, è cambiato più volte, sia per connotazioni architettoniche che per dispositivi “tecnologici” di sicurezza.
Una vera e propria storia dell’edificio attraverso le storie che lo hanno reso immortale arriva in libreria con il volume Il Deposito di Zio Paperone (Panini Comics), ultimo oggetto del desiderio per gli adepti del culto di paperi e topi: un volume di 304 pagine dopo il quale la faraonica struttura non avrà più segreti. Un contributo importante lo dà il saggio introduttivo firmato da Giacomo Delbene e Mila Nikoli?, architetti appassionati di Disney e studiosi dei rapporti tra fumetto e architettura. Non mancano le sorprese: tutto parte da un grande granaio scoperto (Carl Barks, Paperino e la pioggia d’oro, 1951), con il quale lo Zione s’illudeva di tenere le proprie ricchezze a riparo da sguardi indiscreti. Piuttosto vulnerabile per essere uno scrigno. E, allora, arrivano le imponenti misure di sicurezza di Paperino e la ghiacciata dei dollari, ancora di Barks (1952): è la prima volta che il cosiddetto Money-bin finisce in cima alla Collina Ammazzamotori, tra campo minato, cannoni, fossato di acido solforico e tagliole varie. Per non parlare dei cartelli di ammonimento che intimano agli avventori «fuori dai piedi» o un più spiccio «sciò». Barks, comunque, non rinuncia a sperimentare: ecco per esempio il futuribile ovoide di Zio Paperone e la Banda Bassotti (1953), in qualche modo debitore dell’estetica sci-fi anni Cinquanta. Concedeteci un po’ di sano orgoglio patrio: la versione più famosa del Deposito, quella quadrangolare con cupola “appuntita”, è tutta Made in Italy. Dobbiamo infatti a Paperino e il Ferragosto a ogni costo di Giovan Battista Carpi e Gian Gacomo Dalmasso (1963) quei canoni poi ripresi da maestri del calibro di Romano Scarpa, Giorgio Cavazzano e Massimo De Vita. Può succedere che pezzi di storia dell’architettura si infilino poi nell’architettura delle storie: in Zio Paperone e i depositi gemelli, storia del 1972 disegnata da Scarpa, il Nostro ingaggia una sfida con l’eterno rivale Rockerduck a chi costruisce il deposito più alto ed è un po’ una riproposizione scherzosa della “Corsa al cielo” che, all’inizio del Novecento, vide il Chrysler Building e il Wall Street 40 contendersi il primato nella skyline di New York. Può succedere anche che a intrufolarsi nelle vicende di Paperino, Qui, Quo e Qua sia invece la storia e basta, come succede in Zio Paperone e il Deposito Piramidale, ancora di Scarpa (1977). In sette decenni abbiamo visto depositi sotterranei, volanti, galleggianti e persino capaci di lanciarsi in orbita alla conquista dello spazio, ma per esplorare nel dettaglio la pianta dell’edificio in tutte le sue potenzialità dovremo aspettare Don Rosa e la sua avventura del 2001 intitolata I Bassotti contro il Deposito. Perché, come diceva John Ruskin, «l’architettura è l’adattarsi delle forme a forze contrarie».