Specchio, 25 aprile 2021
Ritratto di Fanny Ardant
La forza del cinema francese è che il regista mette sempre la donna al centro della storia». Fanny Ardant lo disse con veemenza, persino con commozione, e il pubblico della Festa del Cinema scoppiò in un applauso. Lei continuò: «Se analizzate con attenzione anche la letteratura francese - pensate a Balzac, Flaubert e Stendhal - noterete il ruolo e l’importanza delle donne».
Probabilmente è semplicistico definirla una femminista, ma è indubbia la sua passione per l’universo femminile e l’attenzione che pone per valorizzare il talento di ogni singola donna: ritiene infatti che ogni tipo di discriminazione di genere inizia con il negare la specificità. Anche nel corso di quella serata romana, mi accorsi che c’era qualcosa di estremamente seducente nel suo modo di porsi: è una donna che proietta parallelamente due emozioni diverse e in apparenza opposte, da un lato appare autorevole, carismatica e indipendente, da un altro fragile e bisognosa di calore. Oltre a essere dotata di una bellezza intensa e profonda.
È nata 72 anni fa a Saumur, un piccolo centro nel cuore della Francia, noto per un bellissimo castello affacciato sulla Loira, gli eccellenti vini e i Cadre Noirs, il corpo militare che gestisce l’École Nationale d’Équitation. Quest’ultimo dato è centrale nella vita dell’attrice, perché in famiglia ha ricevuto una rigida educazione militare: un suo parente è Charles Ardant du Picq, uno dei più noti teorici di Francia, e il padre Jean era un ufficiale di cavalleria presso Palazzo Grimaldi a Montecarlo. È lì che lei passò l’infanzia, frequentando anche il Principe Ranieri, di cui il padre era buon amico. Per accontentare la volontà della famiglia, si laureò alla Scuola di Studi Politici di Aix-en-Provence, ma mentre preparava gli esami cominciò ad appassionarsi alla letteratura e al teatro francese, in particolare all’opera di Claudel, Montherlant e Racine. La decisione di dedicare la propria vita allo spettacolo causò una brusca rottura con la famiglia, ma lei decise di non tornare indietro, iniziando a fare molta gavetta in teatro e in televisione. Fu Claude Lelouch ad accorgersi di lei, scritturandola in Les Uns et les Autres, film nel quale la notò François Truffaut, che la volle come protagonista in una delle sue opere più belle, La signora della porta accanto, e poi in Finalmente domenica. Durante la lavorazione del primo, nacque tra i due una travolgente storia d’amore, dalla quale nacque la figlia Joséphine. In entrambi i film è perfetta, ma quello che risulta evidente in ogni fotogramma è come fosse diventata la musa, l’amore e l’oggetto del desiderio di Truffaut. «Il grande amore ci fa paura perché ci mette in una situazione di pericolo, perché si diventa vulnerabili, si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo», spiegò in seguito, parlando del suo compagno, ma anche del film, che racconta gli spasmi di un amore impossibile destinato a finire tragicamente. «Quando ho letto il copione della Signora della porta accanto», spiegò «rimasi completamente sconvolta dall’idea che una persona potesse morire d’amore. L’unica cosa in cui abbia mai creduto, a costo di apparire sentimentale, è l’amore. Quando mi trovo a una cena noiosa, chiedo sempre all’uomo seduto al mio fianco, sia che si tratti di un ambasciatore che del Presidente della Repubblica: «Ami tua moglie? È l’unico argomento veramente interessante». La storia d’amore con Truffaut durò soltanto pochi anni a causa della prematura scomparsa del regista: un dolore enorme, che ancora le fa apparire sul volto un’ombra di malinconia: «Per François il cinema era una questione di vita o di morte - racconta con la voce piena d’emozione - lui ripeteva sempre "nei film i treni non sono mai in ritardo", ed è una cosa che io amo molto: i film sono stati la sua salvezza, perché nei film ogni cosa ha un significato. La vita è caotica, ma nel cinema tu puoi fermare il tempo. François diceva sempre "chi ama la vita ama il cinema", e aveva ragione».
Dopo la morte di Truffaut, ha continuato ad avere una splendida carriera, lavorando con Resnais, Antonioni, Costa Gavras, Ozon, Pollack, Zeffirelli, per il quale ha interpretato Maria Callas, ed Ettore Scola, che l’ha voluta sia nella Famiglia che nella Cena. È durante la lavorazione del primo film che ha instaurato un prezioso sodalizio professionale con Vittorio Gassman, al quale confidò di voler debuttare nella regia, cosa che riuscì a fare pochi anni dopo. Ma anche nei momenti di attività più frenetica, ha sempre messo al primo posto la vita privata, e ancora una volta l’amore: oltre a François Truffaut, Fanny ha amato due altri compagni, dai quali ha avuto altrettante figlie: l’attore Dominique Leverd, dal quale ha avuto Lumir, e il direttore della fotografia Fabio Conversi, padre di Baladine.
Ama profondamente l’Italia, e una volta ha confidato, scherzando solo in parte, che il suo sogno è quello di ritirarsi a fare «la parrucchiera in un piccolo centro siciliano, e fare i capelli a tutti, dal prete al mafioso». Non è meno intensa la passione che prova per la politica, dove ha preso posizioni controverse: in occasione del Festival di Venezia del 2007, definì Renato Curcio «un eroe», salvo poi scusarsi il giorno successivo con i familiari delle vittime delle Brigate Rosse. Esattamente dieci anni dopo, durante la promozione del suo film Le divan de Staline, attaccò frontalmente la corporazione dei giornalisti francesi, definendoli «lacchè degli americani» e capaci solo di un «pensiero unico». Nella stessa occasione espresse la sua felicità per il fatto che esistesse un «contro-potere» esercitato dalla Russia. Non si tira mai indietro quando deve esprimere posizioni scomode, e non ha piacere quando le viene ricordata la rottura con la famiglia da giovane. Tuttavia, quando una persona le chiese come mai non si fosse mai sposata, ha spiegato che «il modello rappresentato dai suoi genitori era troppo alto: un matrimonio che funziona è un capolavoro, come la cattedrale di Notre-Dame».