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 2021  aprile 25 Domenica calendario

Il problema dei calciatori belli

È la sindrome del calciatore bello: la vanità lo colpisce, il pallone no, perché si scansa. Meglio subire un gol che una deturpazione. Per la seconda volta Cristiano Ronaldo dà buca sulla punizione avversaria. Buffon grida: “Saltate!”, ma lui non esegue, pensa a coprirsi. L’avesse fatto Frabotta, sai i sacramenti dalla porta. Così, invece, l’allenatore si limita a un: “Valuteremo cosa fare”. E che cosa vuoi fare: metti un manichino a molla o guardalo in faccia. Capello non ha avuto dubbi: lo diceva Cruijff, in barriera quelli belli non devono andare perché hanno paura di rovinarsi. C’è di più: il calciatore bello è una categoria sospetta, per tifosi, allenatore e compagni.
La curva lo preferisce brutto, sporco e cattivo. Migliaia di uomini assiepati possono concedere a un altro la gloria e i soldi, ma vuoi essere anche carino? La temuta conseguenza è che ogni sera, vigilie incluse, invece di andare a letto presto passi all’incasso. Non avrà mai i lineamenti stravolti dalla fatica: due ore dopo la partita avrà già un appuntamento. Si preserva per la circostanza, per la campagna pubblicitaria, per il selfie. Anche il mister ha i suoi dubbi. Quando nel ’97 Cesar Luis Menotti, aduso ai gauchos spampanati d’Argentina, venne alla Sampdoria si ritrovò fra le punte tal Danny Dichio che aveva due difetti: era inglese ed era stato eletto il più bel calciatore del mondo. Di giorno faceva il modello, di notte il dj, nei ritagli giocava a pallone, abbastanza male. Gli faceva da manager il padre, ex macellaio di origini pugliesi. Menotti lo spedì a Lecce. Dieci anni dopo, a Toronto, segnò il primo gol della storia della squadra canadese e a ogni partita ancora lo invocano al minuto 23. A loro piaceva, ma la cultura nordamericana già al liceo distingue tra nerds (secchioni) e jocks (fusti). Gli atleti sono anche i belli della classe. Gli altri fonderanno le startup e si consoleranno coi miliardi al posto dei milioni. In Italia soltanto l’eretico Zeman puntò su un ragazzo biondo detto El Facha (Il bello): Gustavo Bartelt. E perse.
Quanto agli altri calciatori, basti chiedere a Pasquale Bruno come vedeva Roberto Baggio. Il bello non gioca in mezzo alla difesa, dove si rema di gomiti, non passa una vita da mediano (ma Beckham al Milan una stagione sì). Lo trovi più facilmente sulle fasce, ala o terzino, o sulla trequarti, dove il contrasto soffre quell’attimo d’incertezza che consente di farla franca. È un pregiudizio come un altro: i neri non parano, gli alti son fallosi, i belli si astengono dalla lotta. Non resta che riderne, magari con l’account di satira chiamato Calciatori Brutti.