Corriere della Sera, 24 aprile 2021
Leonardo Morsut, dalla pallavolo alla genetica
D a Jurassic Park ad assistant professor del dipartimento di Cellule staminali e medicina rigenerativa della University of Southern California, Los Angeles. Il percorso di Leonardo Morsut parte da lontano per approdare alla biologia dei circuiti genetici. In mezzo c’è una carriera da pallavolista con otto stagioni in A1 (nel 2004 fu il migliore under 23 d’Italia), la Nazionale, l’oro ai Giochi del Mediterraneo e il bronzo alle Universiadi.
«Da piccolo facevo pozioni e intrugli con le foglie del giardino di casa. Ero attirato da tutte le scienze, ma non avevo idee precise, vivevo in una dimensione quasi magica», ricorda Morsut, 40 anni. «Dato il mio nome, il mio mito non poteva che essere Leonardo da Vinci. Jurassic Park mi ha cambiato la vita, l’idea di far rivivere i dinosauri con l’ingegneria genetica». Ora Leo ha ottenuto un finanziamento di 2,56 milioni di dollari dal NIH (il corrispondente americano dell’Istituto superiore di sanità) per ricerche sui circuiti genetici che controllano i comportamenti delle cellule staminali in medicina rigenerativa e per mettere a punto protocolli per realizzare organi in vitro. «Usiamo le staminali per assemblare organi rudimentali in provetta – spiega —. Ci sono vari modi: uno è inserire circuiti genetici per programmare le cellule a comportarsi come vogliamo noi».
La syntethic biology è uno dei fronti più avanzati della genetica. «Cerchiamo di combinare le nostre conoscenze di biologia per capire come i sistemi multicellulari formano tessuti e organi, per esempio del sistema immunitario o linfatico, oppure tessuti muscolari. Negli Usa il compito principale di un capo laboratorio, più che fare ricerca in prima persona, è dirigere il gruppo e ottenere finanziamenti, proporre i temi delle ricerche per avere le autorizzazioni». Dal sogno di riportare in vita i dinosauri a un lavoro quasi da scrivania alla ricerca di soldi per studi costosissimi, non è riduttivo? «Tutt’altro – dice Leo —. Con me lavorano una decina di persone di varie nazionalità. L’ingegneria genetica all’inizio degli anni ’90 era fantascienza, manipolare il codice genetico la sfida più grande. Nel 1995 mio cugino morì di fibrosi cistica. Eravamo cresciuti insieme, quella fu una molla, la spinta definitiva verso l’ambito biomedico».
Leo riuscì nella non facile impresa di conciliare una carriera nel volley ad alto livello con l’università. «Ho smesso di giocare a 26 anni, non è stato facile. Ero all’apice della carriera, ma mi ero laureato e dovevo iniziare il training in laboratorio». Nel suo ultimo campionato, a Trento, la squadra arrivò alle semifinali scudetto. «Il volley mi ha fatto girare il mondo e mi sono tolto alcune soddisfazioni. Ma avevo capito che non sarei riuscito più a migliorare e mi sembrava di perdere tempo. Pentito? Sarebbe stato divertente continuare a giocare ma sono contento di dove sono, di quello che faccio e del percorso fatto insieme alla mia famiglia». Leo è sposato con Sabina, storica dell’arte ed esperta di libri medievali miniati, vivono a Pasadena con i due figli. «Gabriele, 7 anni, e Aurora, 3 e mezzo, nati qui».
Chance di rientro in Italia? «Non prima della valutazione per ottenere la docenza tra 4 anni. Poi chi può dirlo? La biologia sintetica è in evoluzione e ciò che valeva 5-10 anni fa ora è superato». Morsut è alla ricerca di nuove sfide. «Il mio obiettivo è creare un gruppo per rispondere a domande che ancora non sappiamo neanche quali possano essere. Mi piacerebbe fare lezioni alle superiori, scrivere libri di testo o divulgativi per portare la biologia sintetica al grande pubblico. Il sogno? Un dialogo fondato su basi scientifiche con tutta la società».