Corriere della Sera, 24 aprile 2021
Intervista Jonathan Safran Foer (parla di Biden e del clima)
«Quello che Joe Biden propone non è solo un approccio del tutto diverso da Donald Trump, che era addirittura uscito dagli Accordi di Parigi. Il piano per il clima dell’attuale presidente è molto più ambizioso anche di quello di Barack Obama. L’iniziativa di Biden è assolutamente all’altezza dell’emergenza che dobbiamo affrontare».
Promuove con convinzione la promessa verde del presidente Usa – tagliare entro il 2030 le emissioni di anidride carbonica del 52% rispetto ai livelli del 2005 – lo scrittore americano Jonathan Safran Foer, romanziere bestseller e saggista impegnato sul fronte ambientale, pubblicato in Italia da Guanda. Al «Corriere» parla via Zoom dalla casa di Brooklyn.
Dunque è soddisfatto dell’iniziativa di Biden: un summit con 40 leader mondiali, l’impegno degli Stati Uniti sulle emissioni.
«All’inizio avevo dei dubbi sull’attuale presidente. Ma finora è stato davvero in grado di imprimere un cambiamento, in un modo che forse nessuno aveva immaginato. Parte della sua abilità è avere smesso di inquadrare alcuni temi come di destra o di sinistra, uscendo da una politica troppo concentrata su questioni identitarie e non su provvedimenti concreti. Inoltre, non so se gli Stati Uniti siano più il centro del mondo, ma una loro spinta verde può ancora essere contagiosa».
Biden ha definito l’impegno sul clima un imperativo morale ma anche economico.
«È la verità, e gli individui tendono a cambiare più per interesse che perché una causa sia giusta. Non vuol dire che siamo cattivi, ma siamo fatti così, anche se alla fine non credo che basterà l’interesse personale per salvare il pianeta: servirà cambiare le nostre vite per il bene comune. Detto questo, è comunque intelligente riconoscere i potenziali enormi guadagni dell’economia verde. Così come le gigantesche perdite se non affrontiamo l’emergenza: per quello che accadrà alle colture, al suolo, alle città che diventeranno inabitabili...».
Paesi come Cina, India e Russia hanno partecipato al summit, ma senza promesse sui tagli alle emissioni.
«Non abbiamo il controllo delle politiche degli altri, ma lo abbiamo delle nostre. E poi, per certi versi, la Cina è quasi più verde degli Stati Uniti, sicuramente nello sviluppo delle tecnologie. Non abbiamo garanzie: l’America ha firmato gli Accordi di Parigi ma con Trump è uscita, la direzione dei Paesi può cambiare drasticamente».
Biden ha anche assicurato che raddoppierà il contributo per aiutare i Paesi in via di sviluppo sul fronte climatico. Le promesse sono realizzabili con un Congresso diviso?
«È comunque il messaggio giusto da lanciare. Ambiente, Covid, giustizia economica: i problemi sono globali e si risolvono solo in modo condiviso».
Economia e morale
Gli individui tendono
a cambiare più per interesse che perché una causa sia giusta
Il progetto di Biden richiede una trasformazione radicale anche della società, delle abitudini, ad esempio sostituire milioni di auto a benzina con veicoli elettrici. Alcuni repubblicani hanno bollato il piano come irrealizzabile.
«Non serve una rivoluzione sociale né culturale, ma una trasformazione logistica. Per quanto riguarda il Congresso, non si può ottenere nulla a meno di non aggirarlo, come d’altra parte è accaduto per il piano di aiuti Covid».
I vari pacchetti nazionali messi in campo per la pandemia possono favorire la trasformazione verde?
«Sicuramente è cambiata la consapevolezza individuale: ci si è sentiti fragili, si è capito che non possiamo dare per scontate salute e sicurezza. In America, in particolare, abbiamo compreso di avere bisogno dell’aiuto del governo, anche se i conservatori non amano ammetterlo. Dunque sì, è un momento buono per il cambiamento, ma potrebbe non durare a lungo».
Jair Bolsonaro ha promesso di porre fine alla deforestazione illegale entro il 2030. Solo pochi giorni fa star come DiCaprio e Jane Fonda avevano chiesto a Biden di non sottoscrivere accordi con il presidente brasiliano.
«Non c’è dubbio che Bolsonaro stia distruggendo il Brasile sia dal punto di vista ambientale sia nella gestione del Covid. Ma non c’è altra scelta che provare a negoziare, pur mantenendosi scettici sulle eventuali promesse».
Anche l’Unione europea ha annunciato il taglio delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto al 1990.
«In America, specie i giovani, guardano all’Europa come un luogo più progressista. Tra i liberal ricorre ormai una battuta: quando ci si interroga se una cosa sia giusta o meno, ci si chiede: cosa fa la Svezia?».
L’obiettivo finale è arrivare allo zero netto di emissioni globali entro il 2050. Da scrittore, come immagina il mondo in quella data?
«Dipende da cosa facciamo adesso: se torniamo a forme di nazionalismo e individualismo o se capiamo di vivere in un pianeta fragile, in cui dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri, anche a discapito del profitto. Quindi: un futuro violento e distruttivo o un altro pacifico, creativo, sicuro. Di certo, non un mondo che assomiglia a quello di oggi».