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 2021  aprile 24 Sabato calendario

Intervista ad Altan

È un Altan meno conosciuto quello che si nasconde nella giungla di carta, tra magnifiche donne ciniche, loschi affaristi e un’umanità putrescente dall’occhio bovino che è la stessa delle sue vignette, simbolo della spietatezza del mondo. Il segno grafico è immediatamente riconoscibile, a cominciare dal naso a ricciolo. Ma le tavole sovraffollate e la trama rocambolesca ci riportano indietro di quasi mezzo secolo, quando Altan si fa beffa dei classici dell’avventura nelle sue prime storie a fumetti. E man mano che avanza tra banani e filodendri africani, o nelle atmosfere dell’Oriente corrotto, scopre di essere un artista. E che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
«Sono curioso di rileggere queste storie. È passato così tanto tempo», dice Altan mentre sfoglia Ada e altre giungle, il volume che raccoglie i fumetti della prosperosa eroina inglese miss Frowz, oltre ai personaggi di “Sandokan”, “Zago Oliva” e di “Viva Las Vegas” (Coconino Press).
Che sentimenti le suscitano questi vecchi fumetti?
«Resto stupefatto. Non so se oggi ne sarei capace».
Cosa la colpisce?
«La quantità di lavoro che ci mettevo. E la fatica di tessere i fili di storie complicatissime».
Sono tavole molto dense, piene zeppe di dettagli.
«Mi divertivo molto, in verità. E credo che quel divertimento lo si colga ancora».
Che periodo era della sua vita?
«La seconda metà degli anni Settanta, nel pieno di una stagione politica molto calda. Ero tornato in Italia dal Brasile dove avevo cominciato a disegnare, ma ero ancora un amatore. Quelle storie a fumetti segnarono il mio passaggio dal dilettantismo alla professione.
Scoprivo di avere un mestiere».
E questo mestiere l’assorbiva completamente.
«Sì, lavoravo dalle due pomeriggio fino a notte fonda. E poi continuavo a pensarci, immerso in questo nuovo mondo fantastico a cui mi piaceva dare forma. Partivo da un’idea, ma senza avere una sceneggiatura precisa. Molte cose succedevano durante la scrittura. E quindi il divertimento nasceva dalla scoperta. Magari disegnavo un personaggino tra la folla e poi mi accorgevo che quel tipetto mi interessava e lo facevo entrare nella storia. Tutte le mie energie erano concentrate nell’invenzione.
Anche per questo oggi non avrei la forza».
Le storie da dove nascevano?
«Dal bauletto in cui conservavo le mie letture preferite. Io avevo una gran passione per i romanzi inglesi alla Tom Jones, quel genere di avventure dove accade di tutto senza che necessariamente alla fine trionfino il bene o la giustizia. E poi come molti della mia generazione ho amato Salgari.
Avevo sette anni quando mio padre mi regalò una copia de I misteri della giungla nera. Era la sua ricompensa dopo avermi portato dal dentista. Il tema della giungla nasce da là».
Anche se poi Salgari viene completamente stravolto.
Sandokan è uno sfruttatore cinico. E ha la faccia di Kabir Bedi, l’eroe dello sceneggiato televisivo.
«Anche Janez somiglia molto a Philippe Leroy, il suo interprete nel piccolo schermo. L’idea era quella di rovesciare tutti i cliché della narrativa popolare, riletti in chiave grottesca. Nelle storie di Ada Frowz ci si imbatte in bambini abbandonati, in cugini dispersi, in eredità contese, in tutti quegli schemi narrativi classici che ritroviamo oggi nelle serie televisive. Con Mara stiamo finendo di vedere Il segreto del Nilo, una storia egiziana che prende spunto dalla separazione tra due gemelli. In fondo non si inventa mai niente di nuovo».
Sotto i fumetti compare sempre una didascalia. È il punto di vista della voce narrante?
«Avevo cominciato a farlo con
Colombo, che è la mia prima storia a fumetti: avevo paura che il lettore prendesse troppo sul serio quel che avevo disegnato sopra. Quindi me ne distaccavo con commenti ironici, ma anche con suggerimenti musicali, con proverbi e con tutti quegli elementi che potevano condire meglio la storia».
La protagonista di questi fumetti è Ada, una giovane donna sensuale e coraggiosa. Da chi era ispirato? Forse da sua moglie Mara, che la ricorda anche fisicamente?
«Sì, è possibile. Ma io allora non avevo in mente un modello preciso. La chiave che governava tutte le mie scelte era quella del ribaltamento. E scegliendo questa giovane inglese come eroina di una storia d’avventura operavo un rovesciamento anche rispetto a un genere narrativo tradizionalmente monopolizzato da protagonisti maschili».
In realtà è tutto il suo mondo femminile a distinguersi per scaltrezza e forza rispetto agli uomini vessatori. E siamo ben prima del me too.
«È quella da sempre la mia idea del femminile che si ritrova anche nelle vignette: la sensazione che le fila del mondo siano nelle mani delle donne. Il loro sguardo è più acuto e disincantato».
Si potrebbe dire che Ada e le altre sono una versione sexy della sua amata Luisa, la casalinga in ciabatte e bigodini.
«In qualche modo è così. Mi viene da pensare che in Macao, al principio della storia, Ada era ancora più trascurata della Luisa, decisamente sovrappeso, ma va da un estetista filippino e torna com’era prima. Forse anche alla Luisa piacerebbe sottoporsi a quel tipo di operazione».
Donne libere anche sul piano sessuale. Nelle prime scene Ada è raffigurata a letto con la preside del collegio.
«L’omosessualità era allora un tema poco trattato. Oggi sono scelte accettate da tutti, all’epoca non tanto. Anche quella era una mia provocazione».
Uno dei temi più ricorrenti in questi fumetti è il rapporto tra classe padronale e classi subalterne: sempre visto dalla parte degli oppressi, che in ogni occasione appaiono più vispi della razza padrona.
«È un’altra delle questioni che io sento come mia da sempre, e che è parte essenziale della mia identità di sinistra. Nasceva dall’esperienza in Brasile dove la prima volta ero andato con Gianni Amico per girare un film che si sarebbe chiamato Tropici. Viaggiavamo nel Nord Est del paese alla ricerca di bambini malnutriti, i protagonisti della storia. Selezionavamo quelli in cui fossero più evidenti i segni del patimento. Restai folgorato da un padre disposto ad affidarci i suoi due figli come fossero cagnolini: non ci chiese nulla, né di noi né del set dove avremmo girato le scene.
Quel gesto cambiò completamente la mia geografia mentale».
Si sentì un colonizzatore.
«Per forza! Offrivo dei soldi in cambio di bambini affamati. Ne uscii sconvolto».
Lei nei fumetti racconta quest’umanità corrotta nel corpo e nell’anima. E contemporaneamente disegnava la Pimpa, l’altra parte di Altan.
Come ha fatto a dare forma a mondi così distanti?
«Non so spiegarmelo. Mi vengono e basta».
Si è mai rivolto a uno psicoanalista?
«No, non mi è mai piaciuta l’idea di andare da uno per raccontargli le mie cose. Ho come un blocco. Più o meno me la sono cavata finora, spero in futuro di non averne bisogno».
Come ha vissuto la pandemia?
«La mia vita è cambiata pochissimo. Viviamo in una casa con un grande giardino, che ci impedisce di sentirci in prigione.
Lavoro a casa e non mi manca viaggiare, anche perché gli spostamenti sono sempre molto faticosi. Mi mancano gli amici, questo sì».
Il sentimento prevalente?
«Al principio sembrava di stare in un gioco di ruolo, con le mascherine e la fila davanti al supermercato insieme alla Protezione civile. Poi il Covid ha cominciato a mitragliare da tutte le parti. I morti e i feriti quotidiani, le notizie di amici e conoscenti. I vaccini ci aiuteranno, ma ancora non è chiaro quando potremo dire: è finita. Mi sembra la cosa più faticosa da accettare».
È stato più difficile sotto pandemia fare satira?
«No, non direi. Anche se la pestilenza ha finito per monopolizzare le vignette».
Mi sembra quasi superfluo chiederle se ne usciremo migliori, visto come ha già risposto Luisa: non ci vuole molto.
«Non sono ottimista. Una volta passata, ci sarà la rivincita dei bassi istinti».
Cipputi avrebbe mai immaginato di governare con il cavalier Banana e Salvini?
«No, francamente no. Non gliel’ho ancora detto».
Cosa aspetta?
«Il momento opportuno, ma mi sembra difficile che arrivi».
E Cipputi che dice di Draghi? Va alla concertazione?
«Con Draghi sì. Qualche persona seria è importante nella vita di un paese. Poi bisogna che dimostri che sia veramente efficace. Ma è ancora presto».
Altan, il prossimo anno festeggerà gli 80 anni. Come si prepara?
«Non mi preparo. Questa è l’unica regola che ho imparato nella vita.
Se uno si prepara, è fritto».