Robinson, 24 aprile 2021
Intervista a Lucinda Tait (parla di Joe Strummer)
Erano arrivati da tutta Italia i giovani punk (ma non solo: c’era di tutto) il primo giugno del 1980 in Piazza Maggiore a Bologna per il concerto gratuito dei Clash. Più di 30mila persone spinte dalla curiosità e dalla fame di musica dopo un lungo periodo in cui le band straniere non mettevano piede nel nostro paese dopo gli scontri ai concerti dei Led Zeppelin nel ’71, di Lou Reed nel ’75 e di Santana nel ’77.
Non è un caso probabilmente se furono degli artisti punk, anche se è riduttivo definirli in questo modo, a interrompere l’isolamento: Patti Smith nel 1979 a Firenze e, appunto, i Clash nel 1980 a Bologna.
Furono avvenimenti di portata storica di cui parlarono televisioni e giornali in prima pagina. Lo scorso novembre è addirittura uscito un libro, Bologna 1980 – Il concerto dei Clash in Piazza Maggiore nell’anno che cambiò l’Italia, a celebrare l’evento. Dopo lo scioglimento dei Clash seguirono anni difficili, soprattutto per Joe Strummer, il più idealista e politicamente impegnato del gruppo che si trovava di fronte a un mondo in cui diventava sempre più difficile capire chi erano i buoni e i cattivi. Trovò un nuovo equilibrio solo nel 1995 sposandosi con Lucinda Tait e creando una nuova band, i Mescaleros, con cui realizzò tre ottimi dischi. La sua morte avvenne nella maniera più inaspettata: un infarto a soli 50 anni dovuto a una malformazione congenita al cuore mentre leggeva il giornale dopo aver portato fuori i suoi cani. In occasione dell’uscita di Assembly, una raccolta a lui dedicata, c’è l’occasione unica di parlare con Lucinda, da Strummer con dolcezza chiamata Luce, dell’altro Joe, quello meno conosciuto, quello più intimo.
Lei ha incontrato Joe quando i Clash non esistevano più, non era una fan…
«No, non proprio. Io non avevo niente a che fare con la scena musicale».
Come vi siete conosciuti?
«Attraverso una comune amica. Io ero andata a trovarla e in quel periodo Joe viveva nello Hampshire e lei ci fece conoscere: andammo insieme a una piccola fiera, molto carina e… ci innamorammo».
Ma sapeva che lui era Joe Strummer, il cantante dei Clash?
«Sì, lo sapevo ma non essendo una grande fan, non è che avessi esattamente idea… Per me lui era una persona normale che faceva il musicista. Non avevo vissuto il punk, non ne conoscevo il messaggio, la forza, l’intensità, la sua voglia di cambiare il mondo. Non ero una persona così cool. Ero impegnata a fare le mie piccole cose. Ascoltavo Dexis Midnight Runners, Blondie, cose così: non ero una punk».
Lui era molto politicizzato: lei era d’accordo con le sue idee?
«Io non ero una persona “impegnata” ma stando con lui ho imparato un sacco di cose: era come andare a scuola ogni giorno. Joe mi ha davvero aperto la mente: le cose che diceva mi facevano pensare, mi ponevano delle domande, mi facevano mettere in discussione tutto quello che avevo pensato fino a quel momento. Mi ha davvero cambiato la vita in tutti i modi possibili!».
Ma come era Joe Strummer nella vita di tutti i giorni?
«Joe era una persona molto gentile, molto orientato alla famiglia e amava moltissimo i suoi animali. Adorava passeggiare con i suoi cani e camminare a lungo. Amava andare al pub e stare con gli amici. E stava sempre leggendo o scrivendo qualcosa. Non stava mai fermo con la mente anche quando sembrava che lo fosse. E poi, forse molti non se lo aspettano, ma Joe era una persona davvero divertente, con cui era bello stare, sempre piena di entusiasmo: mi raccontava che cosa stava leggendo ed era come se questa cosa lo aiutasse e lo spingesse ad andare ancora più fondo a studiarla, a fare continuamente ricerca».
Che cosa leggeva?
«Non leggeva romanzi. Leggeva biografie o libri di politica e di storia.
Sì, soprattutto libri di storia».
Io l’ho incontrato solo una volta e mi ha colpito, oltre che per il suo carisma, anche per il fatto che mangiava del Parmigiano bevendo cappuccino. Il che, per un italiano, è piuttosto strano…
«Oh my God! (ride)».
A questo punto sono curioso: cosa mangiava di solito?
«Joe di base era vegetariano, però mangiava pesce: adorava lo sgombro e soprattutto le sue sardine! Gli piaceva il cibo semplice ma cercava sempre di mangiare cose salutari.
Non gli interessavano cibi costosi o sofisticati. Abbiamo passato un bel po’ di tempo in Spagna per cui gli piaceva molto la cucina spagnola».
Ma cucinava anche?
«Non molto. Era in grado di farlo e lo faceva ma non direi che era una cosa che lo appassionava».
Come era una sua giornata?
«Si svegliava piuttosto tardi, verso le undici o mezzogiorno perché andava a letto tardissimo, beveva una tazza di tè leggendo i giornali e poi faceva una passeggiata con i cani, mangiava qualcosa e si chiudeva per diverse ore in studio a suonare».
Veniamo ad “Assembly”, questo
nuovo progetto. Come è nata l’idea?
«Adesso c’è un nuovo accordo con Dark Horse Records che è l’etichetta fondata da George Harrison guidata da suo figlio Dhani e da David Zonshine. Durante questo lungo periodo di lockdown David ha potuto esplorare in lungo e in largo l’archivio di Joe. La mia idea era quella di introdurre un nuovo pubblico alla sua musica, in particolar modo quella con i Mescaleros perché anche tra coloro che amano i Clash molti non conoscono questa altra faccia di Joe che è fatta di colonne sonore come quella per i film di Alex Cox Walker e
Sid & Nancy (in Assembly è inclusa una diversa versione di Love Kills, ndr), di collaborazioni con altri artisti, di pezzi a cui teneva particolarmente come Junco Partner che qui si può ascoltare in una versione acustica o di rarità varie come due pezzi dei Clash, I Fought the Law e Rudie Can’t Fail fatti però dal vivo con i Mescaleros nel 2001 alla Brixton Academy: ecco questo è Assembly».
Tra le canzoni che Joe amava c’è la commovente “Redemption Song” di Bob Marley di cui qui è presente una versione con Rick Rubin al piano mentre nella precedente raccolta, “001”, c’era un’altra versione in cui Joe cantava con Johnny Cash: quando si sono incontrati?
«Anni fa abbiamo passato un’estate a Los Angeles, credo fosse il ’93, e Johnny Cash, un artista che Joe amava moltissimo, stava facendo il famoso disco di cover con Rick Rubin ( American Recordings, ndr). Joe andò a trovarli e rimase tutto il giorno con loro. Fu lui che suggerì a Johnny di fare una cover di Redemption Song ma non sapevo che l’avesse anche cantata con lui e da solo, fino a quando Rick Rubin non me ne ha fatto gentilmente avere una copia!».
E come mai invece amava così tanto “Junco Partner”, un vecchio blues che Joe suonava addirittura dai tempi della sua prima band, i 101’ers, e poi in version reggae e dub con i Clash in “Sandinista”?
«Non lo so (ride)! Ma lui la amava davvero tantissimo: è la canzone che ha sempre fatto e che cantava con tutti, in qualsiasi occasione».
In passato era saltato fuori anche un pezzo fatto insieme a Mick Jones, “U.S. North”. Alla fine quindi erano ritornati amici?
«Sì certo: Joe aveva iniziato a collaborare con lui già quando Mick formò i Big Audio Dynamite. Quel pezzo credo dovesse finire nella colonna sonora di un film intitolato Candy Mountain e Mick ce l’ha dato.
L’archivio è pieno di canzoni a vari stadi di lavorazione sue e con altri artisti: Joe era molto prolifico».
E con Paul Simonon?
«Quando vivevamo a Londra ci siamo visti spesso con Paul e verso la fine Joe aveva ricominciato a scambiarsi molte idee con Mick. Forse ci sarebbero state delle buone possibilità che potessero tornare a suonare insieme. Non saprei però, è pura speculazione perché comunque era molto felice con i Mescaleros. Ma sicuramente lui e Mick si stavano scambiando idee.
Chissà come sarebbe andata…».
Chi erano gli amici più stretti di Joe nell’ultimo periodo?
«Beh direi Damien Hirst e sua moglie Maia, il regista Julien Temple.... e poi era molto affezionato a Bez degli Happy Mondays, a Jim Jarmusch e Johnny Depp quando andava a Los Angeles. Aveva diversi amici in molte città ma questi erano i più vicini nell’ultimo periodo…».
Damien Hirst è un’amicizia che forse non ti aspetteresti…
«Erano molto amici, uscivano spesso insieme: si erano conosciuti al festival di Glastonbury. Damien restò molto colpito dalla morte di Joe».
Nel film di Julien Temple, “The Future Is Unwritten”, si vede spesso Joe suonare e cantare con gli amici attorno a un falò…
«Joe amava davvero i falò: era un’abitudine che ha importato anche qui. I miei vestiti sanno ancora di fumo (ride). Adorava stare all’aperto a guardare le stelle e le fiamme e parlare con la gente. Stare attorno a un fuoco unisce tantissimo le persone: stai lì a pensare e a parlare e a suonare. E la musica non era mai troppo forte, era come una vibrazione, una colonna sonora che permetteva alla conversazione di andare avanti».