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 2021  aprile 24 Sabato calendario

Intervista a Mauro Covacich

«Paradossalmente, grazie alla mia piccola anomalia cardiaca sono guarito dall’ossessione della corsa». Mauro Covacich torna in libreria con Sulla corsa (La Nave di Teseo), un’autobiografia atletica per narrare la propria vita ruotando attorno alla passione sportiva. Triestino, classe ’65, Covacich è uno scrittore sempre attento alle parole, capace di narrare il rapporto con il corpo mediato dall’ossessione della corsa di resistenza, riflettendo sull’ideale fallico dell’eroe omerico e la necessaria consapevolezza dei propri limiti. Già finalista al Premio Strega e vincitore del Premio Selezione Campiello con La città interiore, in queste pagine rievoca l’esperienza massacrante della maratona di New York e l’incontro con il campione olimpico etiope Haile Gebrselassie: «Incontrarlo è stato un sogno».
Covacich, dobbiamo saper accettare i limiti del nostro corpo?
«La corsa, come tutte le attività sportive spinte ad un livello fanatico e ossessivo, non comporta solo pregi, anzi. Un conto è il fitness ma chi pratica lo sport agonistico sottopone il corpo ad uno stress, usurando le articolazioni chilometro dopo chilometro, sfidando apertamente i propri limiti. La scoperta della mia piccola anomalia cardiaca, nulla di grave, mi ha permesso di introdurre finalmente un elemento di ragionevolezza dentro la mia vita». 
È guarito dall’ossessione?
«Diciamo che oggi sono disintossicato».
Scrive che la corsa non fa bene alla salute. Sta smentendo tutti i consigli sul benessere dell’attività fisica?
«Non sono matto, chi corre tre volte a settimana nel parco per snebbiare la mente e rimettersi in forma, ne trae solo grandi benefici. Io mi riferisco all’agonismo, a chi scopre il piacere di confrontarsi con la fatica, provando ad addomesticarla. Penso a quella sensazione che ti punge e ti costringe ad uscire sei giorni su sette, sino a diventare una vera dipendenza. A quel punto, scivolare nel fanatismo è quasi inevitabile».
Ci faccia un esempio.
«Se andavo via per il weekend e non mi portavo dietro le scarpe per correre stavo proprio male. Oggi accetto i miei limiti».
Giulio Andreotti disse, tutti i miei amici sportivi sono morti prima di me. Sta facendo gli scongiuri?
«No, è giusto (ride). Vedo un sacco di persone che stanno benissimo senza far nulla. Chi pratica la corsa è in guerra ma vorrebbe tanto essere in pace».
Lei per quale motivo correva in modo agonistico?
«Per tanti motivi. Per sciacquare la testa, per stare meglio e fuggire. Correre ancora oggi per me è una valvola di sfogo che rigenera la mente».
Tende a impressionare piu degli altri il maratoneta che si dopa, perche si e inclini a pensarlo come simbolo di integrita e purezza. Ha seguito la vicenda Alex Schwazer?
«Certo. Devo attenermi alle notizie della stampa e se il giudice ha sancito che c’è stata una manipolazione delle analisi, devo credergli. Ricordiamoci che lui veniva da un altro episodio nel 2012 in cui aveva ammesso il doping ed era stato squalificato per quattro anni. Ma è tornato a gareggiare e alla luce del suo pregresso personale, tendo a dargli fiducia».
E lei ha mai avuto la tentazione di doparsi?
«No, assolutamente. Sono rimasto nel contesto amatoriale. Ad essere sinceri il mio livello è talmente mediocre che non avrebbe avuto senso»
Odisseo era il meno fallico degli eroi omerici. A cosa si riferisce?
«I 100, 200 metri sono pura potenza ed esplosione di muscoli. Ma quando parliamo della corsa di resistenza, introduciamo un elemento di assedio. Il corpo accoglie la sofferenza, si fa cavo e diventa recipiente della fatica, lasciandola entrare».
Scrive che in questa fase storica il fallicismo ha contagiato anche molte donne. Brutto segno?
«Purtroppo sì».
A cosa si riferisce?
«A quelle donne che pensano che la legittima parità dei diritti si raggiunga imitando i modi sbagliati del maschio».
Ovvero?
«La dominanza, la prepotenza, il revanscismo, la vendetta».
La spaventa?
«Un po’ ma per fortuna c’è un ampio movimento femminista maturo che non considera l’equità come una ritorsione, anzi. Per questo sottolineo come la corsa sia sotto il segno di Venere, rinviando ad un erotismo più femminile che maschile di cui potremmo far tesoro in questo clima di scontro odierno».
Nel libro racconta la sua ultima maratona, la 30 km Cortina-Dobbiaco, la maratona di New York e nel 2002 ha conosciuto il maratoneta Haile Gebrselassie. Cosa ricorda di quell’incontro?
«È il mio idolo, sono andato a trovarlo ad Addis Abeba. Ha vinto due Olimpiadi e quattro campionati del mondo, è considerato un eroe nazionale. Mi ha autografato la maglietta sul petto e abbiamo anche corso insieme. E quel ricordo nessuno può rubarmelo»
Oggi, a 56 anni, ha rimpianti?
«Francamente no. Quando corri seriamente ti accorgi subito di quanto vali».
E lei quanto valeva?
«Poco ma l’ho accettato presto. Non ho mai pensato alla carriera agonistica, ho corso sempre con amore».