Corriere della Sera, 23 aprile 2021
L’Italia di Scola
Il cittadino che contribuì con il suo voto alla affermazione della esigua maggioranza di centrosinistra è sfiduciato, inappagato, deluso definitivo: annuncia che non voterà più a sinistra, anzi non andrà neppure più a votare, basta, sono tutti uguali, lui ha chiuso con «la politica», è stanco, non ce la fa più. C’è anche il deluso di sinistra intermittente, un po’ sì un po’ no, come i lampeggiatori che si azionano per annunciare l’intenzione di svolta a destra. E c’è il deluso di sinistra tardivo, quello che non ha manifestato i suoi sdegni verso «la politica» quando era più lecito aspettarseli, negli anni del centrodestra, durante i quali prese anzi le distanze dai pochi che si rifiutavano di collaborare, anche nel loro lavoro, con quelle logiche.
Si vorrebbe dar torto a questi e tanti altri delusi di sinistra, opporre loro che qualcosa in un anno è pur stata fatta, qualche logica sociale è stata se non ribaltata almeno indirizzata verso più decenti soluzioni, qualche malaffare ostacolato, qualche volgarità risparmiata. Ma come contraddire il cittadino deluso quando sostiene che il poco che questo governo ha fatto è offuscato dal molto che non è riuscito a fare, tra confusioni di linguaggi, difficoltà di comunicazione, cupidigia di disaccordo, sovraesposizioni personali, vocazioni alla retromarcia e relativi tempi di decisione estenuanti? Mancanza di occasioni per il primo lavoro, lavoro precario e mal retribuito per chi ce l’ha, politiche di inclusione sociale, basi americane, alte velocità, ambiente, clima, acqua, smaltimento dei rifiuti sono tutti problemi urgenti e tutti prioritari che sembrano fermi alla stessa pagina e nessuno che abbia voglia o capacità di voltarla.
Ma c’è una emergenza – anch’essa di interesse nazionale e dalla quale forse tutte le altre dipendono – che chiede una attenzione nuova e appassionata a tutti, non solo alla classe dirigente ed è il deserto culturale nel quale il Paese annaspa. Dopo ogni guerra bisogna fermarsi a contare le macerie scatenate dalle follie degli uomini; negli ultimi decenni non abbiamo avuto per fortuna una terza guerra mondiale, con bombardamenti e campi di sterminio, ma qualche conto degli scempi spirituali che hanno devastato il nostro Paese bisogna pur farlo. Chiederci prima di tutto quali amori ha suscitato la scuola nei nostri studenti, quanta curiosità ne ha destato intorno alla nostra lingua, alle nostre lettere, alla storia, all’arte, a tutte le fonti di pensieri e emozioni che dovrebbero aiutare a sapere per capire, a capire per scegliere. Né trovano, i più giovani, migliori riferimenti nella comunità in cui vivono e nella quale sono permanentemente esposti alla insicurezza, autorevolmente stimolati all’egoismo. Orfani prematuri di ogni fiducia nel domani. Se il segreto di una buona vecchiaia è quello di mantenere i sogni della gioventù, quale vecchiaia aspetta i giovani senza sogni? E se ogni occasione culturale mancata è un passo indietro nella conoscenza di sé stessi e nell’attenzione agli altri, a chi ne va attribuita la responsabilità? Non certo alle vittime, impegnate in quello che oggi è il più difficile dei mestieri, essere giovani, ma a chi resta sordo a ogni richiesta di aiuto, cieco di fronte a ogni segnaletica. Che altro sono le folle di giovani che accorrono – non solo ai concerti, agli spettacoli, alle proiezioni, alle letture di poesia nelle piazze, ma anche agli incontri con la letteratura, la filosofia, la matematica, organizzati da qualche amministrazione locale – se non voglia di apprendere, fuori da una scuola inadeguata ed estranea?
E, a guardar bene, non è rintracciabile, pur tra pericolosi fraintendimenti e squallide confusioni, un desiderio di realtà e di comprensione del mondo, perfino negli attoniti spettatori dei miserevoli reality show? Il genere per fortuna è in crisi, logorato dalla sua stessa volgarità intrusiva, ma le ragioni che ne hanno decretato il breve successo non vanno sottovalutate. Elogio della vita vegetativa, banalizzazione dei rapporti umani, esilio in un microcosmo virtuale dove competizione e aggressività dovrebbero rappresentare il carattere del tempo e lo spirito dell’epoca: una rissosa previsione di sopravvivenza invece del racconto artistico della vita, una volta affidato alla scrittura, al cinema e in qualche occasione anche alla televisione.
C’è una emergenza dalla quale tutte le altre dipendono ed è il deserto culturale in cui annaspiamo
È urgente una riflessione collettiva per una nuova estetica della realtà, che non vuole né potrebbe riprendere stagioni culturali passate, come fu quella del neorealismo, l’ultimo grande incontro forse tra politica e cultura: anche oggi siamo di fronte a una scelta di verità ugualmente obbligata, aperta a esperienze culturali e spirituali diverse, che dovrà essere una indicazione di lavoro per tutti.
Noi autori venuti al cinema dopo quella grande stagione abbiamo una nutrita esperienza di incontri con uomini di governo che ci ascoltavano con grazia e con grazia scomparivano. Solo una volta, a proposito di una ennesima crisi – più che in bianco e nero o in colori, in pellicola o in digitale, il cinema è per definizione in crisi – trovammo in un ministro della Cultura una attenzione non generica e elettorale ma la convinzione che investendo nella cultura lo Stato non risponde a una querula richiesta di assistenza da parte di categorie interessate ma promuove un bene comune e consolida una reale risorsa per tutto il Paese.
Altre responsabilità politiche sono ora affidate a quello stesso dirigente per la costruzione di un partito democratico nuovo (ah, già: ci sono anche i delusi di sinistra preventivi, già scontenti di un partito che ancora non è nato): che a guidarlo sia un protagonista della politica più vicina alla vita dei cittadini, un umanista con la passione del cinema, della musica, della scrittura, è una garanzia forte per chiunque sia interessato sinceramente al cambiamento di questo sgangherato Paese. È quasi una rivoluzione. Alla quale ognuno ha l’occasione di prendere parte, nel campo che gli compete, con nuova coscienza dei problemi, nuove idee, nuovo coraggio, con nuovo entusiasmo. Perdersela, sarebbe davvero un peccato.