la Repubblica, 23 aprile 2021
Intervista ad Alessandro Gassmann
Un professore di Filosofia che diventa il maestro di vita dei suoi studenti, imperfetto e paterno. Alessandro Gassmann lo interpreta con gioia e un senso di liberazione, «non avendo avuto un insegnante come lui mi sembra quasi una rivincita. Mi avrebbe reso felice negli anni della scuola». Un professore, la serie di Alessandro D’Alatri che l’attore sta girando a Roma, andrà in onda in autunno su Rai 1. Racconta la scuola “in presenza”, la vita in classe prima della pandemia. A RaiFiction, che realizza la serie con Banijay, sottolineano «come sia essenziale ripartire dalla scuola, dalla passione di un insegnante che aiuta i ragazzi a affrontare la vita». Dall’ex poliziotto che cercava la verità sulla morte del figlio in Io ti cercherò, al ruolo del prof Dante, Gassmann parla con trasporto di questo insegnante stile L’attimo fuggente.
Chi è Dante?
«Un uomo che non solo crede nella filosofia ma la applica nella vita, la serie parla a tutti ed è scritta benissimo da Sandro Petraglia con i suoi autori. Dante non diventa noioso né superficiale, insegna ai ragazzi un percorso, li porta fuori dalle aule. È il professore che avrei voluto avere e non ho mai avuto.
Mi piacciono i toni da commedia: è separato, ama le donne, e deve recuperare il rapporto col figlio».
Nella serie non c’è la Dad.
«No, la nostra scuola è com’era prima della pandemia e come spero potrà essere a ottobre-novembre, con la riapertura. Spero che le scuole saranno tutte aperte. Mi sto divertendo con i giovani attori, e li ringrazio per il lavoro che fanno con me. Con Claudia Pandolfi non ci incontravamo da Piccolo mondo antico, parlo di vent’anni fa. Siamo molto cresciuti, ci siamo più simpatici, è come lavorare con un’amica».
Il suo rapporto con la scuola?
«Conflittuale. Il sistema scolastico era ancora quello punitivo, pauroso se prendevi l’insufficienza. L’ho vissuta malissimo e per non affrontare i problemi ero diventato scaltro, bugiardo e ingiusto: mi firmavo le giustificazioni. Anni sprecati, ho recuperato in altri modi, mi dispiace perché mi sarei potuto divertire».
Suo padre era un gigante anche da studente...
«Papà aveva tutti dieci, con una madre esigentissima prendere un nove era una sconfitta, c’era una richiesta di voti molto alta. Mia nonna l’ha obbligato anche a diventare attore. Lui con me non ha fatto lo stesso errore, tornavo a casa con i miei voti che non erano mai eccezionali».
E lei con suo figlio com’è stato?
«Sono stato un padre rigoroso nel rispetto delle regole, ma non terrorizzante. Papà lo era, aveva la voce di Vittorio Gassman. Nel buio dello studio chiamava: “Alessandroooo”. Non è che siccome è tuo padre ti fa meno paura».
Come vede cambiati i ragazzi?
«Ho notato l’abbandono, da parte dei genitori, del proprio mestiere di genitori. Non dico che devono tornare a essere come erano i miei. Ma è un po’ facile dire: “Tieni il telefonino e la macchinetta. Torni alle 3? Benissimo”. Fino a 18 anni i ragazzi non possono avere nelle mani la propria vita: sono ancora piccoli, vanno protetti da loro stessi. Da ragazzo era diverso, non sto facendo un discorso da nonno, ma andavi dagli amici senza cellulare e quella società funzionava abbastanza bene.
Meglio di questa».
Oggi esplode la rabbia.
«Mi auguro che quando torneremo a avere una vita – e ci vorrà tempo – anche i ragazzi si riprendano i propri spazi. La pandemia ci ha tolto tante cose. Speriamo che questa lezione dura ci insegni qualcosa, ma non sono fiducioso.
Invece sarebbe importante comprendere il rispetto delle regole e degli altri, recuperare il senso della società, il civismo».
Il suo tweet sulla festa dei vicini di casa ha scatenato reazioni feroci sui social: se l’aspettava?
«È un argomento troppo povero per essere considerato un argomento. Ho già chiarito su Twitter. ("Mi dispiace per le polemiche, e anche per gli insulti e le minacce che ho ricevuto. Quasi un anno e mezzo di pandemia ha esacerbato gli animi portando a una rabbia diffusa”, ndr )».
Torneremo al cinema dopo tante serie tv?
«La qualità è molto cresciuta anche in Rai, anche perché hanno ricominciato a attingere dagli scrittori, penso a I bastardi di Pizzofalcone. Ma le serie non possono sostituire il cinema. Ho girato il film Il silenzio grande, dalla commedia di Maurizio de Giovanni. Non entravo in un cinema da un anno e mezzo: ho visto il mio film sul grande schermo. Eravamo in sette. Ho provato un’emozione fortissima, nel buio della sala sei immerso nella storia. E visto che anche il professor Burioni dice che all’aperto è molto più difficile contagiarsi, perché non dare ai teatranti e agli esercenti cinematografici la possibilità di usare gli spazi all’aperto?
Mettiamo un palco o uno schermo, e le persone distanziate. Può funzionare».