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 2021  aprile 23 Venerdì calendario

Biden sfida Erdogan "Quello degli armeni fu un genocidio"


Genocidio. Tutto ruota ancora attorno a questa parola: Joe Biden, il nuovo presidente americano, la pronuncerà o no nel discorso di domani per il 106° anniversario del massacro armeno perpetrato sotto l’Impero ottomano? Il New York Times e il Wall Street Journal, con ottime entrature alla Casa Bianca, scrivono di sì. Ma occorrerà vedere se la nuova amministrazione democratica vuole davvero andare allo scontro con un alleato nella Nato, un amico scomodo come la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.
Il discorso di Biden sullo sterminio degli armeni ha avuto una lunga preparazione. Prima il direttore dell’Istituto di storia dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia, Ashot Melkonyan, ha inviato una richiesta di intervento alla Casa Bianca. Messaggio a cui i collaboratori del presidente americano sono sembrati dare luce verde. Poi è arrivata la lettera aperta di oltre cento membri del Congresso Usa – primo firmatario il democratico Adam Schiff – che lo invitava a dare seguito alla sua promessa elettorale. «Signor Presidente, come ha detto nella sua dichiarazione del 24 aprile dello scorso anno, il “silenzio è complicità”». Già il Congresso ha etichettato l’eccidio come «genocidio», con un voto bipartisan nel 2019. E così hanno fatto una trentina di Paesi, Italia inclusa, con una mozione della Camera dei deputati che ha causato ad Ankara la convocazione dell’ambasciatore italiano Massimo Gaiani per chiarimenti.
Quel che è già pronta è la reazione di Ankara. Che si prepara furibonda. Erdogan mette in guardia: «La Turchia continuerà a difendere la verità contro le menzogne sul cosiddetto “genocidio armeno” e contro coloro che stanno sostenendo questa calunnia sulla base di calcoli politici». Il suo ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, avvisa che «se gli Stati Uniti vogliono peggiorare le relazioni, è una loro decisione». E il direttore della Presidenza turca delle Comunicazioni, Fahrettin Altun, spiega di avere «esteso le nostre condoglianze per le perdite degli armeni nel 1915», ma che la Turchia «non discrimina sulla base di religione ed etnia».
A rischiare seriamente sono i rapporti sempre meno stabili fra Washington e Ankara, con conseguenze dirette soprattutto in Medio Oriente dove la loro collaborazione da tempo vacilla. Il possibile uso del termine “genocidio” da parte del nuovo presidente americano segnerebbe poi, per l’Italia, un asse atlantico più forte con Washington. Dopo che Biden ha definito Vladimir Putin «un killer» e Erdogan «un autocrate», è arrivata la definizione di Mario Draghi su «Erdogan dittatore». Concordata o meno fra Washington e Roma, è stata capace di mandare su tutte le furie Ankara e il suo leader.
Dopo l’uscita di scena di Donald Trump, a lui più vicino, il capo dello Stato turco appare in difficoltà con l’Occidente. La nuova amministrazione Usa non sembra intenzionata a fare sconti su diritti civili, democrazia e protezione delle donne messa a repentaglio dal ritiro dalla Convenzione di Istanbul sulla violenza di genere. E Erdogan e Biden, dopo l’elezione di quest’ultimo, ancora non si sono parlati.