la Repubblica, 23 aprile 2021
Cinque franchi, un gol la verità sulla moneta che decise Italia-Urss
Dopo giorni di battaglie sul calcio giocate a suon di miliardi sarà bene ricordare che la vittoria può essere assegnata da una monetina, del valore di cinque franchi svizzeri. L’anno del conio è il 1932, quello in cui divenne decisiva il 1968. Fu lanciata in aria nello spogliatoio dello stadio di Napoli e cadendo aprì all’Italia le porte della finale poi vinta con la Jugoslavia. Sul suo conto sono circolate e sono state stampate molte leggende. Quasi ovunque si trova la versione secondo cui era una “cento lire”. Una ricostruzione complottistica sostiene avesse testa da entrambe le parti. Una fotografia ristabilisce la verità. È pubblicata a pagina 16 del libro Azzurri d’Europa, scritto da Stefano Ferrio e Gianni Grazioli per Minerva. Mostra le “due facce della medaglia”: c’è la testa, ma anche la croce, il simbolo della confederazione elvetica. Per l’occasione la monetina è uscita dalla custodia. Lo aveva fatto in passato una sola volta, per un cameo in una ricostruzione televisiva. Francesco Franchi, figlio di Artemio, all’epoca presidente della Federazione calcistica, ha dovuto farla pulire: era ossidata da decenni al chiuso. È conservata nello studio paterno, in un astuccio Bertoni, fornitore abituale, adagiata su un fondo di raso blu. La sua apparizione smentisce alcune fantasie e riporta in scena una partita impensabile.
È il 5 giugno del 1968, ore 18. La città è Napoli. Eppur piove. Sugli spalti, settantamila ombrelli circa. Incasso: 116 milioni di vecchie lire (un milione di euro attuali). Avversario: l’Unione Sovietica. L’armata è decimata da infortuni, incidenti e dall’espulsione per ragioni morali del compagno Szabo, pretesa dal capitano Sesternev, che avrà un ruolo decisivo nel risultato. Arbitra il signor Tschenscher di Hindeburg. Nelle sue tasche: fischietto, cartellini e qualcosa che risulterà più fatale.
Già al terzo minuto si mette male: infortunio a Rivera. Quel calcio semi-pioneristico non ammetteva sostituzioni (altro che cinque). Ci si barrica, tenendo lo 0 a 0. Ai supplementari si fa male anche Bercellino e avanti in nove, rischiando perfino di vincere all’ultimo minuto, ma la sassata di Domenghini prende il palo. A quel punto, né rigori né golden goal: decide il caso. Il telecronista Nando Martellini si concede questo auspicio: «Speriamo che la buona sorte ci restituisca il favore che fece agli jugoslavi alle Olimpiadi nel 1960 quando contro di noi, su questo campo, per sorteggio, conquistarono il diritto alla finale».
Al sorteggio nel ’68 il tedesco Tschenscher usò un soldo svizzero poi custodito a casa da Artemio Franchi
Che cosa succede a questo punto? Secondo una ricostruzione l’arbitro si accorge di aver perso lo spicciolo che aveva in tasca e un dirigente azzurro (qualcuno allude addirittura allo stesso Franchi) gliene porge uno, poi sussurra al capitano Giacinto Facchetti di scegliere testa, perché ce l’ha di qua e di là. Oggi questa versione spopolerebbe sui social, ma è smentita dalle due facce del soldo svizzero, proveniente dall’arbitro. Un tedesco con valuta elvetica? Francesco Franchi ammette di essersi chiesto spesso il perché. E di essersi dato una spiegazione: l’Uefa è stata fondata a Basilea, aveva la sede a Berna, pagava i rimborsi in franchi svizzeri. Herr Tschenscher da lì attinse per decidere il destino. Quanto al suggerimento “testa”, la prima scelta toccò al capitano sovietico, che però non capì la domanda. Pare che a lui un funzionario avesse suggerito di “puntare sulle figure”, ma invano. Sarà lesto Facchetti a cogliere quell’indicazione. I compagni si fidavano di lui: al gioco e alle scommesse non perdeva mai. Il figlio Gianfelice lo conferma. Tarcisio Burgnich, compagno di reparto, l’unico presente anche all’episodio sfortunato del ’60, non si mosse né prima né dopo l’esito: con Giacinto lo dava per scontato.
Nello spogliatoio c’erano anche i due guardalinee, il delegato Uefa e il segretario della Figc. Così tramanda l’articolo di Gianni De Felice sul Corriere della sera, aggiungendo che l’arbitro lanciò in aria dieci franchi francesi, coniati in argento nel 1966. Di certo la monetina, quella svizzera, volò. Altrettanto sicuramente ricadde di taglio sul pavimento. Poi non è provato se si incastrò in una fessura o rotolò
Azzurri d’Europa
Il libro di Stefano Ferrio e Gianni Grazioli (Minerva)
sotto una panca. Se l’arbitro ripeté il gesto o si chinò, guardò che faccia avesse e comunicò il verdetto. L’urlo di Facchetti, 14 anni prima di quello di Tardelli, porse la chioma alla vittoria. Fu una sera di gioia in Italia. Nessuno dei presenti in quello spogliatoio può ancora raccontare che cosa successe veramente. L’Urss è svanita. Con la diversa formula del golden goal la Nazionale ha perso una finale nel 2000. Ai rigori è uscita con la Spagna nel 2008 e la Germania nel 2016. Francesco Franchi rimette nella custodia la reliquia che l’arbitro poi donò a suo padre. È uscita per ribadirci qualche verità. Una su tutte: partite così, non ne fanno più.