La Stampa, 23 aprile 2021
Intervista ad Alberto Cirio
«Io ho fiducia in Mario Draghi e nel suo governo, ma rilevo due problemi. Una di metodo: se il giorno prima l’esecutivo formalizza un accordo con le regioni, i comuni e gli altri enti locali poi tutti si aspettano di vederlo recepito nel decreto del giorno dopo, non modificato all’ultimo momento senza nemmeno essere avvisati. L’altro rilievo è di merito: rispetto agli annunci sulle riaperture del presidente del Consiglio in conferenza stampa, mi sembra che il risultato sia un po’ meno soddisfacente».
Alle 9 del mattino l’umore del presidente del Piemonte Alberto Cirio tende al cupo. L’irritazione per la virata del governo sulle scuole è ancora forte, le perplessità su riaperture che dalle regioni vengono giudicate formali più che sostanziali restano. E così le parole che consegna nella video intervista al direttore de La Stampa Massimo Giannini sono critiche: «Si fatica a capire la ragione di certe scelte». A sera, dopo il vertice tra i presidenti di regione e il successivo chiarimento con il governo, gli animi sono più distesi ma la sostanza cambia poco. «Speravamo in qualcosa di meglio: il decreto non è ancora scritto, ci aspettiamo che almeno le nostre obiezioni sulle scuole vengano recepite».
E sul resto?
«Mi sembra di capire che non ci siano margini».
Quindi nella contesa tra Matteo Salvini e Mario Draghi lei sta con il leader della Lega?
«La sua posizione tiene conto delle esigenze della vita reale. Da mesi ci troviamo a parlare con governi, specie quello precedente, che guardano i numeri ma talvolta sono lontani dalla quotidianità delle persone. I decreti, per essere attuati, e rispettati da cittadini e categorie, devono avere una logica».
E questo non ce l’ha?
«Dire che i ristoranti possono aprire solo all’aperto significa non basarsi sui parametri epidemiologici ma sulla latitudine. Vuol dire che in Sicilia potranno lavorare anche in zona rossa mentre nelle regioni montane, come il Piemonte, ci sono aree in cui certi giorni non si mangia fuori nemmeno a luglio».
D’accordo con Salvini anche sul coprifuoco?
«Guardi, io posso anche condividere che oggi si decida di mantenerlo alle 22, ma bisognava introdurre due correttivi. Il primo sulle attività: se alle 22 devo essere a casa vuol dire che non è vero che i ristoranti posso stare aperti fino alle dieci di sera. Secondo: bisognava dare una prospettiva, un piano a medio-lungo termine, o davvero pensiamo che a luglio le persone rincasino alle 22?».
Così facendo Salvini non indebolisce il governo rischiando di delegittimarlo?
«Non credo. Il suo è un ragionamento di buonsenso, come lo è la decisione, condivisa con Berlusconi, di mettere da parte gli interessi di parte e fare i costruttori sostenendo questo esecutivo».
Più che a costruire il leader della Lega sembra intenzionato a picconare quotidianamente.
«Io credo invece che la sua azione sia tesa a costruire meglio».
Cosa non sta funzionando nel rapporto Roma-regioni? Siamo tornati ai tempi di Conte?
«No, però l’impressione è che le decisioni a volte non si fondino su parametri scientificamente solidi. Faccio fatica a spiegarmi, e a spiegare, la ratio di certe scelte».
Non sono le regioni ad alimentare la confusione? Prima volete le zone rosse e tenete chiuse le scuole, ora invocate le riaperture e il liberi tutti...
«Ma quale liberi tutti. Al contrario: qui bisogna fare molta attenzione a non ritrovarci nei guai tra qualche settimana. Serve responsabilità, rispetto delle regole e controlli. Noi, trasversalmente e senza distinzioni di parte, ci limitiamo a dire che è giusto riaprire dove la situazione lo permette, nel rispetto delle norme di sicurezza».
E le scuole?
«Stiamo cercando di capire come garantire il rientro in classe lunedì. Il governo scrive 70% e ha finito il suo compito. Per noi invece cambia tutto».
Perché?
«Fino al 50% in presenza è sufficiente potenziare i mezzi pubblici. Con una certa fatica si riesce a garantire anche il 60%, ma oltre bisogna scaglionare gli ingressi. Cosa non semplice e su cui, come noto, gli istituti scolastici si sono sempre detti contrari».
Perché non avete potenziato i mezzi pubblici? Lo Stato ha stanziato quasi 2 miliardi, le regioni ne hanno speso appena un decimo.
«Nessuno è in grado di acquistare un bus in sei mesi. Le procedure stabilite per legge sono incompatibili con tempi così ristretti. Stiamo affrontando una situazione eccezionale con le stesse regole che valgono nei periodi di pace».
Ammetterà che le scuole chiuse siano una sconfitta collettiva, o no?
«Certo che lo sono. Io ho due figli, la Dad l’ho vissuta in casa. I docenti sono stati encomiabili ma non è la stessa cosa, è chiaro. Le istituzioni hanno un debito con i ragazzi».
L’obiettivo dei 500 mila vaccini al giorno resta lontano. Perché?
«Sui vaccini c’è stato un innegabile cambio di marcia: lo dimostrano i dati. Gli stessi che confermano le buone performance delle regioni. Ora c’è un’impostazione militare che ci ha sottratto alcune prerogative; poco male, se il sistema funziona. Il problema è che non ci sono ancora abbastanza vaccini da permetterci una programmazione di medio-lungo periodo. Ecco perché stiamo trattando 14 mila dosi AstraZeneca con il Canton Ticino; servono per i richiami».
Sembra un po’ deluso da Draghi.
«Al contrario: rispetto al governo precedente registro un evidente cambio di passo, e un premier autorevole e di spessore. Da parte nostra non c’è alcuna volontà di creare conflitti; questo è il momento della responsabilità. Ma quel che è accaduto mercoledì spero non succeda più: è grave che un accordo raggiunto alla presenza di cinque ministri venga modificato. Così si alimentano solo la confusione e la sfiducia dei cittadini».