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 2021  aprile 21 Mercoledì calendario

Essere Andrea Agnelli

Primo ricordo di Andrea Agnelli legato alla Juventus: «Ho i pantaloni corti, sono a Villar Perosa con papà. È l’estate dell’82, ho sette anni e l’Italia ha appena vinto i Mondiali. Andiamo su e mio padre mi chiede accanto a chi mi voglio sedere. Paolo Rossi, gli dico. È cominciato così».
Dopo l’annuncio della creazione della Super League, Andrea Agnelli è diventato il cattivo numero uno, per poi emergere come uno dei grandi sconfitti, con la sospensione (o meglio il fallimento) del progetto dopo appena 48 ore.  Il presidente della Uefa Aleksander Ceferin gli ha dato del bugiardo e dell’avido («Non ho mai visto una persona in grado di mentire così di continuo, è veramente incredibile. Non parlerò molto di Agnelli, è una delle più grandi delusioni, anzi la più grande delusione»). Urbano Cairo, presidente del Torino e soprattutto padrone di Rcs (vedi Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, per sintesi) gli ha dato del «Giuda».
Per capire chi è oggi Andrea Agnelli è forse utile andare a ritroso per dipanare per quanto possibile il complicato intreccio familiare in cui è cresciuto e si è mosso, comprendere la sua concezione della Juventus e del calcio .
Intervistato da Dario Cresto-Dina su Repubblica dieci anni fa, alla domanda sul peso del nome Agnelli, ha risposto: «Significa avere un impegno da onorare per la vita. Credo che la Fiat e la Juventus siano e debbano restare punti di riferimento per Torino. Mi pesava molto di più essere un Agnelli da ragazzino: mi accorgevo di essere guardato in modo diverso e non lo capivo». E quanto vuole rimanere alla guida della Juventus? «Non mi sono dato una scadenza, ma qualsiasi impresa, se solida, sopravvive alle persone che la comandano».
Andrea è il quarto con il cognome Agnelli ad essere diventato presidente della Juventus. Prima di lui c’erano stati solo il nonno Edoardo (1924-1935), lo zio Gianni (1947-1954), il padre Umberto (1955-1962). Secondo figlio di Umberto Agnelli – il fratello minore di Gianni, l’Avvocato – e della sua seconda moglie Allegra Caracciolo, nato dopo Giovanni Alberto detto Giovannino e prima di Anna; a lungo, dopo la morte del fratello (13 dicembre 1997) e prima della nascita del figlio Giacomo Dai (16 dicembre 2011), è stato l’ultimo erede maschio degli Agnelli. Sempre a Dario Cresto-Dina, ha ricordato: «Avevo ventidue anni quando mio fratello morì. Giovanni, non Giovannino. Lui detestava essere chiamato così, come se fosse un Giovanni minore. Entrai nella camera di mio padre, mi guardò negli occhi e disse: questo significa maggiori responsabilità per te. Poco più tardi dalla nostra casa della Mandria andammo al golf. Un chilometro e mezzo a piedi senza dirci una parola».
Studi a Oxford (St. Clare’s International College) e Milano (Università Bocconi), esperienze lavorative soprattutto all’estero: alla Iveco-Ford di Londra, poi alla Piaggio, quindi all’Auchan di Lille e alla Schroder Salomon Smith Barney di Londra. Nel 1999 c’è la Ferrari Idea di Lugano, e l’anno dopo a Parigi la Uni-Invest (Banque San Paolo). Dal 2001 al 2004 alla Philip Morris International di Losanna, dove si occupa di marketing e comunicazione. «Ho passato quattro anni in Philip Morris a occuparmi di comunicazione. La mia idea era quella di restarci fino a diventare general manager: poi avrei deciso cosa fare. Invece la vita ha scelto per me», ha detto a Paolo Madron.
A riportarlo a Torino è la morte di suo padre Umberto: «Il suo consiglio era di restare lontano da Torino, anche perché era difficile essere inserito nello staff di un’azienda di cui sei azionista. Poi, quando è mancato, il senso di responsabilità verso mia madre e mia sorella mi hanno indotto a rientrare». Diventa consigliere di amministrazione di Fiat e Ifi (poi Exor), oltre che socio dell’accomandita di famiglia. Per alcuni anni lavora anche all’Ifil, dove si occupa di sviluppo strategico. Nel 2007, infine, la scelta di intraprendere una propria strada imprenditoriale: nasce così la holding Lamse.
Marco Ferrante, che della famiglia Agnelli è grande conoscitore ed è autore del fondamentale Casa Agnelli, racconta così il ruolo che ha avuto Andrea negli equilibri della dinastia: «Andrea Agnelli si trovò a essere il punto di raccordo della fronda interna quando, dopo la morte di suo padre, la situazione della Fiat era a un passo dalla catastrofe e l’effetto Marchionne non si era ancora sentito. La questione fu più o meno la seguente. Nel settembre del 2005, alla vigilia dell’assemblea dell’accomandita dove si sarebbe ratificata la decisione di procedere con l’equity swap per riportare la famiglia sopra il 30 per cento dell’azionariato Fiat, Andrea Agnelli rilasciò un’intervista in cui espresse contrarietà all’operazione. Riteneva che la condizione di quel momento, con la famiglia al 22 per cento e le banche al 28 per cento, era l’occasione per mettere in piedi una public company. Si sarebbe reso esplicito il fatto che l’interesse era la crescita dell’azienda e non il gioco di potere».

Come ricorda sempre Ferrante, la tensione nella famiglia Agnelli ebbe un picco intorno alla Juventus: «La vicenda Moggi diventa uno strascico dell’antico confronto tra Gianni e Umberto. I gianniani, che sono sempre stati anti-moggiani, assecondano la giubilazione di Moggi e ne accettano le conseguenze – cioè la Juve in serie B per la prima volta nella sua storia –, mentre gli umbertini continuano a difendere Moggi e Giraudo, con cui Andrea Agnelli ha rapporti eccellenti, ma soprattutto non sono d’accordo con la nuova dirigenza, che accetta la cancellazione di due scudetti, smantella quella che alcuni considerano la squadra più forte del mondo e si lascia retrocedere in B».
La narrazione dell’inchiesta Calciopoli come risultato più o meno decisivo di una guerra familiare rispunta spesso, in un sovrapporsi tra mezze verità e chiare leggende rese ancora più affascinanti dall’universo Agnelli e dal mondo del pallone. Come ha ricordato sul Foglio Beppe Di Corrado (ovvero Giuseppe De Bellis), «a volere il crollo della Juve sarebbe stata quella parte di famiglia e azienda che non aveva digerito la presa di posizione di Andrea sull’equity swap. C’è una parte di Torino e d’Italia che ci crede, ce ne è un’altra che la ritiene solo una fantasia. C’è che a volte il caso vero o quello creato a tavolino alimenta le voci. Così per mesi, l’ala elkanniana della famiglia ha lasciato trapelare il proprio disappunto per un presunto sgarbo di Andrea. Lui è l’amministratore delegato e l’anima del circolo golfistico Royal Park del quale è presidente la madre Allegra Caracciolo. Ecco, nel 2009, l’Open d’Italia è stato organizzato lì. Bello, bellissimo, solo che lo sponsor del torneo era Bmw, che in casa della Fiat non è sembrato un caso».
A dimostrazione che nell’allargata famiglia Agnelli affari e pallone spesso vanno a braccetto, una doppia svolta arriva nella primavera del 2010. È uno dei momenti più complicati della storia bianconera e, il 17 aprile, Andrea e il cugino John Elkann si presentano all’improvviso nel centro sportivo di Vinovo. «Siamo venuti insieme per dimostrare l’unità della famiglia. Non c’è contrapposizione, la vediamo allo stesso modo», assicura Andrea che poco dopo viene nominato ufficialmente presidente del club. È il ritorno di un Agnelli alla guida della Juventus dopo 48 anni, cioè dopo la presidenza del padre Umberto, terminata nel 1962. Il mese successivo, John Elkann sostituisce Gianluigi Gabetti al vertice dell’accomandita Giovanni Agnelli & C., la cassaforte di famiglia. E nel consiglio entra anche Andrea.

Il nuovo corso di Andrea Agnelli alla guida della Juventus non parte al meglio. Voleva come allenatore Rafa Benítez e arriva Gigi Delneri. I bianconeri chiudono al settimo posto in campionato. Ma le cose cambiano nella stagione il 2011/2012, iniziata con l’inaugurazione dello Juventus Stadium (8 settembre 2011) fortemente voluto da Agnelli e con l’arrivo di Antonio Conte in veste di allenatore (ruolo che avrebbe mantenuto fino al 2014, per essere poi sostituito da Massimiliano Allegri), segnò per la Juventus l’inizio della stagione più ricca di soddisfazioni, così sintetizzata dallo stesso Agnelli durante l’assemblea degli azionisti del 25 ottobre 2018: «Guardando indietro non posso che pensare a tre momenti che si distinguono sostanzialmente all’inizio, a metà e alla fine di questo percorso 2010-2018. Uno, l’ho anche già raccontato. Quando arrivo nel 2010, voglio andare in ufficio un sabato mattina e lo trovo sprangato, e questo dà la dimensione della passione che c’era in quel momento. L’anno successivo, nel 2011, sempre un sabato di maggio, vado in ufficio e ho circa 30 persone in ufficio: quello è stato un primo vero cambiamento percepibile da parte mia».
Notevole clamore hanno destato, nell’autunno 2018, le dimissioni di Giuseppe Marotta, fortemente voluto dallo stesso Agnelli nel 2010 quale amministratore delegato della Juventus, considerato tra i principali artefici delle recenti fortune della squadra e messo alla porta dall’oggi al domani. E qui si arriva al presente.

Allo stesso tempo presidente e rappresentante dell’azionista di riferimento, nel tempo Agnelli è diventato il vero capo della Juventus. E si è messo a far politica, con la presidenza dell’Eca, l’associazione dei club europei, le manovre in Federcalcio, la strategia aggressiva in Lega sui diritti tv e commerciali. Ha puntato forte su un’internazionalizzazione dell’azienda Juventus (ecco l’affare Ronaldo) e ha voluto fortemente spingere per la creazione della Super League, per avvicinarsi sempre di più al suo modello,  Florentino Pérez, il capo grande capo del Real Madrid e poi della nuova lega dei più ricchi. Una scommessa clamorosamente persa, almeno per il momento.