la Repubblica, 22 aprile 2021
Intervista a Emilian Gebrev, il trafficante d’armi bulgaro vittima del Novichok
La scia di terrore lasciata degli 007 russi con licenza di uccidere continua ad allungarsi. E pone al centro dell’ultima spy story internazionale Emilian Gebrev, un imprenditore bulgaro che produce ed esporta armamenti.
Le ultime rivelazioni sull’unità killer del Gru, l’intelligence militare di Mosca, indicano che il deposito che sabotò nel 2014 nella Repubblica Ceca contenesse munizioni destinate alla sua azienda. Sei mesi dopo gli agenti moscoviti tentarono di avvelenarlo con il Novichok: è stato il primo caso in assoluto in cui è stato usato l’agente nervino letale impiegato anche contro l’ex spia Serghej Skripal e l’oppositore Aleksej Navalnyj. «L’attentato che abbiamo subito ha molte analogie con quello contro Skripal», dichiara Gebrev. «Stessa sostanza, stesso schema e addirittura stessi agenti segreti del Gru».
Lei si è sentito male durante una cena in un hotel di lusso di Sofia. Che cosa ricorda?
«In realtà i sintomi sono comparsi poco prima. Allucinazioni, vomito, poi durante quella cena tutto è precipitato. Il mio autista mi ha portato d’urgenza in ospedale. Sono arrivato in coma. È accaduto anche a mio figlio e al direttore della produzione della mia azienda, negli stessi giorni e in luoghi diversi. Un’esperienza terribile che non auguro a nessuno. Mi hanno salvato i medici dell’Accademia militare bulgara. Nel 2015 nessuno aveva idea dell’uso di “agenti bellici” come il Novichok, ma loro l’hanno scoperto e un laboratorio specializzato finlandese lo ha confermato».
Le indagini hanno dimostrato il legame con gli attacchi lanciati contro Skripal e Navalnyj.
«Siamo stati tutti avvelenati da una sostanza chimica della famiglia Novichok con il coinvolgimento di agenti dei servizi segreti russi. Non solo, nel nostro caso e in quello di Skripal, i responsabili sono gli stessi. Fanno parte di un’unità del Gru che ha svolto anche altre missioni in Europa: la loro presenza è stata accertata persino durante le manifestazioni per l’indipendenza della Catalogna a Barcellona».
Lei produce e vende armi, un business controverso e ad alto rischio. Si è detto che volessero colpirla perché forniva munizioni all’esercito ucraino impegnato contro i separatisti filorussi nel Donbass...
«Lo escludo. Le nostre esportazioni lì sono trascurabili e condotte attraverso aziende partner. Non abbiamo mai avuto problemi né con i concorrenti, né con le autorità bulgare o di altri Paesi. L’avvelenamento è avvenuto dopo che ho iniziato a discutere della possibilità di comprare un’altra industria militare bulgara: la procura ha chiaramente identificato l’interesse di società russe a rilevarla. Dopo l’attentato fallito, l’intera macchina statale bulgara non solo ha ostacolato quell’acquisizione, ma ha anche mirato a distruggere la mia compagnia».
Mentre l’inchiesta ceca è andata avanti fino a individuare i responsabili a Mosca, le indagini bulgare dopo avere avuto rapidi sviluppi si sono fermate. Perché?
«A sostegno di Skripal e Navalnyj si è mossa l’intera comunità democratica occidentale, mentre le autorità bulgare continuano a insabbiare. Se non fosse stato per la mia insistenza nel chiedere di riaprire le indagini e per le inchieste internazionali, in particolare di Bellingcat e New York Times, quasi nessuno avrebbe sentito parlare di quello che ci è successo».
Pensa che le autorità di Sofia abbiano paura di irritare Mosca?
«Le tracce arrivano troppo vicino ai più alti gradi di potere in Bulgaria e ai loro legami con la Russia. E intanto continuano a promuovere interessi strategici russi, come il gasdotto Turkish Stream attraverso la Bulgaria. Da parte mia c’è la convinzione che le autorità bulgare e russe si siano accordate per insabbiare tutto. Da Sofia finora non è stata indirizzata a Mosca alcuna rogatoria: nonostante gli autori dell’avvelenamento siano stati identificati, nessuno li sta cercando»