La Lettura, 18 aprile 2021
Come invecchiamo i Picasso
Sono «nati» nello stesso anno, il 1917. A distanza ravvicinata, nell’arco di pochi mesi. Hanno la stessa mano e lo stesso stile, un cubismo influenzato dall’esperienza dei Ballets Russes. E sono sempre rimasti insieme, a Barcellona: prima a casa del loro autore, poi dal 1970 nel museo che la città catalana a quel genio ha dedicato. Eppure questi quattro dipinti di Pablo Picasso — Hombre sentado; Blanquita Suárez; Mujer en un sillón; Hombre con frutero —, splendidi gioielli del museo di carrer Montcada, stanno invecchiando in modo diverso. Non benissimo. In particolare l’Hombre sentado (uomo seduto), con quelle «crettature», crepe visibili anche a occhio nudo, che si aprono come ferite sulla pittura, sta preoccupando conservatori e studiosi. Possibili certi danni dopo «solo» un secolo? Come intervenire? E come evitare che la situazione peggiori? Per trovare le risposte a queste domande, un gruppo internazionale di «detective» – scienziate, conservatrici, storiche (tutte donne tranne un ricercatore) – ha lavorato per scoprire il mistero dei quadri-fratelli. L’indagine è durata tre anni.
Osservazione, studio della composizione chimica delle pitture, ricerche sul degrado meccanico nell’arte moderna e contemporanea. Finanziato dal ministero spagnolo dell’Economia, il progetto Promesa — guidato dalla professoressa di Conservazione Laura Fuster-López dell’Universitat Politècnica de València e da poco concluso con la pubblicazione, a dicembre, sulla rivista scientifica «SN Applied Sciences» – si è concentrato su questi aspetti. Li illustra Francesca Caterina Izzo, ricercatrice di Scienze chimiche per i beni culturali all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che da anni collabora con la docente spagnola. Primo dato: per realizzare le quattro opere, Picasso usa materiali molto simili. Sette pigmenti, oli siccativi, colla animale e tele di cotone. «Il primo Novecento – comincia a spiegare la conservation scientist — è un periodo di passaggio delicato per chi lavora nell’arte: in commercio ci sono già i primi colori a olio in tubetto, ma non tutti li usano. Brevettati nel 1841 (per la storica ditta Winsor&Newton), questi prodotti da una parte risultano più comodi rispetto a quelli preparati artigianalmente dal singolo pittore, dall’altra però sono più problematici, visto che “siccano” in tempi diversi, risultano spesso meno stabili e più velocemente soggetti a degrado». Eppure le quattro tele di Picasso possono contare su una vita piuttosto sedentaria e tranquilla, anche dopo la donazione al museo, avvenuta nel 1970. «Ma dato che le nostre opere continuano a deteriorarsi silenziosamente anche in condizioni controllate – avverte la professoressa Fuster-López – è necessario capire quali aspetti legati alla composizione dei materiali usati possano essere la causa della loro instabilità, in modo da adottare misure preventive di conservazione».
Approccio multianalitico: osservazione del danno meccanico, analisi chimico-fisiche e tecnologia di avanguardia per studiare gli strati delle quattro opere, anche i più nascosti. E cioè quelli di preparazione della tela, del colore, fino ai passaggi conclusivi per «stabilizzare» i dipinti. Chiarisce Francesca Izzo: «Siamo partite da indagini non invasive – l’imaging multispettrale, le analisi di riflettanza con fibre ottiche, la fluorescenza a raggi X – che ci hanno fornito informazioni importanti sullo stato di conservazione dei dipinti e sui pigmenti. Solo all’ultimo abbiamo prelevato micro campioni in zone limitate delle opere per analizzarle con tecniche cromatografiche più invasive e identificare i composti organici presenti nelle pitture».
Primo indizio: le tele su cui sono stati realizzati i quadri sono in cotone, ma quella dell’Hombre sentado è più fitta delle altre . Trama e ordito sono ravvicinati, «aspetto che probabilmente ha inciso sul modo di assorbire il colore». Altro dettaglio: i due strati di preparazione dell’opera (uno con colla animale, uno con olio siccativo) sono più spessi rispetto agli altri lavori e più ricchi di colla animale, sensibile all’umidità. Infine: la pittura conteneva sì un olio siccativo ma, a differenza di quello degli altri quadri, pretrattato ad alte temperature e parzialmente cotto. Dunque tela diversa e diversa procedura di preparazione e rivestimento (Picasso, tornato da Parigi, aveva abbinato a colori «all’avanguardia» francesi tecniche fai-da-te spagnole?) hanno reso l’opera più fragile e incline ai cambiamenti delle condizioni microclimatiche.
Anche Blanquita Suárez, quadro che porta il nome dell’attrice e cantante più volte ritratta dal maestro, non sta benissimo. Il motivo: per «lei» come per gli altri sono stati usati colori a olio di lino – miscelato ai meno siccativi oli di cartamo e di girasole – ma con un’aggiunta che fa la differenza rispetto ai meglio conservati Mujer en un sillón (donna su una poltrona) e Hombre con frutero (uomo con cesto di frutta): Blanquita sperimenta l’uso, non ancora in voga nel 1917, di pitture sintetiche. Smalti. Sul suo bel viso l’effetto «craquelé» è evidente.
Dunque: L’Uomo seduto «soffre» più di tutti per un mix di cause tra cui una colla iperassorbente. Blanquita, invece, «patisce» l’elemento sintetico presente nel suo «impasto». E gli altri due? Cosa li rende più «giovanili»? Una tela con trama e ordito meno stretti, certo. L’uso di oli esclusivamente vegetali, benissimo. Ma c’è un altro elemento. Il bianco. Ottenuto con lo zinco: «Questo pigmento rende le pitture a olio meno inclini alle crettature, anche se può danneggiarle in modo diverso (tende a “delaminare”)». La ricercatrice insiste: «È fondamentale avere un quadro complessivo della composizione dell’opera e dei vari elementi di degrado, tra cui i “saponi metallici”, composti che si formano per l’interazione tra il legante e alcuni ioni rilasciati dai pigmenti».
Reazioni diverse dei film pittorici, degli strati preparatori, dei pigmenti con i leganti. I misteri dei quadri-fratelli sono risolti. Ma non il loro stato di degrado. La ricercatrice non è affatto scoraggiata, però: «Questo nostro lavoro serve per consigliare al museo di monitorare costantemente i quadri, soprattutto tenendo conto del livello di umidità dell’aria. In questo modo si fa conservazione preventiva e si evitano restauri troppo invasivi. Documentare le crettature e i segnali del degrado è fondamentale per cercare nuove strategie conservative soprattutto per le opere di quel periodo di passaggio, dalla bottega all’uso di colori prodotti in serie. Del resto a Picasso, come a molti artisti dell’epoca, interessava dipingere, non la composizione del colore. Voleva solo che le sue opere fossero pronte ed esibite in tempi rapidi».