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 2021  aprile 18 Domenica calendario

Intervista a Robert Tombs

La Gran Bretagna post-Brexit è un buon osservatorio per valutare oggi l’epopea napoleonica: perché qui Bonaparte è spesso ritratto come l’antesignano di quelle mire egemoniche europee da cui Londra è riuscita a sottrarsi uscendo dalla Ue. «La Lettura» ne ha discusso con Robert Tombs, l’accademico di Cambridge che ha di recente pubblicato il libro This Sovereign Isle («Quest’isola sovrana»), in cui ha rivendicato le ragioni storiche del divorzio fra Londra e Bruxelles.
Professore, ciò che colpisce un osservatore «continentale» è la differente valutazione di Napoleone: se in Europa è visto anche come un portatore di progresso, un propagatore degli ideali della Rivoluzione francese, in Gran Bretagna è l’incarnazione del tiranno, a volte associato addirittura a Hitler. Dove sta la verità?
«Sta da qualche parte nel mezzo. Mai lei ha ragione, Napoleone è ricordato in Gran Bretagna allo stesso modo in cui la gente lo percepiva al suo tempo. Anche nelle vignette era rappresentato come basso di statura: era aggressivo perché basso...»
Una caricatura...
«Sì, lo mostravano come una figura assurda: e forse c’è la tendenza a mostrare le persone di cui si ha paura in maniera ridicola. Lo stesso fu fatto con Hitler e Mussolini. Ciò che è scomparso in Gran Bretagna è l’idea di un Napoleone progressista, che pure alla sua epoca era abbastanza forte: gli oppositori del governo lo vedevano come un eroico difensore dei valori della Rivoluzione francese. Ma ciò è sparito dalla nostra memoria».
Come si spiega?
«Per la ragione che nei successivi duecento anni è stato presentato come una minaccia all’indipendenza britannica da parte di un tiranno straniero. E ciò si associa con la tendenza a vedersi come rappresentanti della libertà: e dunque per definizione i propri avversari devono rappresentare la tirannia. Certo, Napoleone era per molti aspetti un tiranno, è stato definito l’ultimo dei despoti illuminati, un riformatore, ma certo non un democratico. Ed è associato con due delle più grandi vittorie britanniche, Trafalgar e Waterloo».
E in effetti le guerre napoleoniche sono un elemento costitutivo dell’identità nazionale britannica: da Trafalgar Square alla stazione di Waterloo, quella memoria è dovunque a Londra.
«Venne costruita nell’Ottocento una intera mitologia attorno ad esse. C’è una tendenza a vedere un filo conduttore nella storia, per cui la Gran Bretagna come isola-nazione è minacciata da una tirannia che viene dal continente. E dunque Napoleone, ma anche il Kaiser e Hitler, rappresentano una minaccia esterna contro cui ci dobbiamo difendere. Si colloca all’interno di una narrativa di libertà nazionale, di indipendenza nazionale, di un’idea di separatezza».
Dunque possiamo dire che le guerre napoleoniche furono una prima forma di Brexit?
(Ride). «Sì, si può dire così. C’è il senso che i pericoli vengano dal continente, dall’Europa. Non siamo minacciati dall’America o dalla Cina o dall’Africa: quando la nostra indipendenza sembra essere in pericolo, ciò viene dal continente europeo. La storia britannica è costruita attorno alla minaccia di invasioni, c’è questa figura della resistenza a un’invasione: e così Napoleone costituisce un ottimo rappresentante di questa idea di pericolo. È una narrativa drammatica».
La difficoltà britannica con Napoleone sembra rispecchiare la difficoltà con la Rivoluzione francese: laddove in Europa essa è l’alba degli ideali di libertà ed eguaglianza, in Gran Bretagna è il prodromo del totalitarismo.
«Nel Settecento i britannici si vedevano già come liberi, come un Paese libero governato dal Parlamento: e dunque la Rivoluzione non li liberava, era al contrario una minaccia. Il senso che i britannici hanno della loro storia è di continuità: certo, ci fu la Rivoluzione del Seicento, ma al tempo della Rivoluzione francese c’era la sensazione che la Gran Bretagna fosse diventata un Paese stabile, in cui la rivoluzione era vista come un pericolo. E in più il fatto che avvenisse in Francia, che era diventato il nostro nemico, che avevamo combattuto dalla fine del XVII secolo, faceva risorgere l’idea della Francia come nemica. La ghigliottina diventa il simbolo della rivoluzione, mentre la Gran Bretagna è vista come il luogo della libertà e della sicurezza. Questa è diventata l’immagine dominate nella cultura popolare».
Possiamo dunque dire che la divergenza della Gran Bretagna dall’Europa parte nel Settecento e comincia proprio con l’opposizione alla Francia?
«Penso di sì. Al momento della sconfitta di Napoleone la Gran Bretagna era parte di un’alleanza che comprendeva quasi tutti gli Stati europei e Londra si impegnò molto negli affari del continente dopo quel successo: ma è vero che cercava di trovare una via di mezzo. A quell’epoca eravamo una nazione abbastanza conservatrice, avevamo la monarchia, ma anche un governo parlamentare e le libertà civili. E dunque la maggioranza in Gran Bretagna era a disagio con l’idea di una dittatura giacobina, ma neppure erano contenti del ritorno del vecchio regime, che fossero gli zar in Russia o i Borbone in Francia. Quindi i britannici non simpatizzavano né con la destra né con la sinistra continentali, ma si vedevano come un Paese liberale, che è a favore delle riforme e del governo rappresentativo ma allo stesso tempo ha paura della rivoluzione. Si vedevano come un Paese abbastanza diverso da quelli del continente. E allo stesso momento cominciano a impegnarsi molto di più con l’impero e con i Paesi al di fuori dell’Europa».
Ma oggi, dopo duecento anni, i britannici sono pronti a rivalutare Napoleone o è diventato ancora di più il simbolo di tutto ciò che rifiutano?
«Napoleone è adoperato come simbolo dell’Unione europea. C’è l’idea che la Ue, così come è oggi, segua un percorso francese improntato a un’autorità burocratica, sospettosa della democrazia popolare: un governo delle élite, insomma. Ed è spesso associata con Bonaparte: la Ue viene vista come posseduta da una ambizione napoleonica, che ancora oggi evoca l’immagine, nella mente delle persone in Gran Bretagna, di un sistema antidemocratico, forse moderno, sì, ma basato sulle regole fissate dall’alto e non sul consenso popolare. E poi c’è la questione della schiavitù, che ha assunto tanta parte nel dibattito odierno: Bonaparte decise di reintrodurre la schiavitù nei Caraibi e dunque questo rende ancora più difficile celebrarlo. Non c’è una grande probabilità che i britannici comincino adesso ad ammirare Napoleone».