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 2021  aprile 21 Mercoledì calendario

L’automobile elettrica di Keynes

Anatomia di una politica keynesiana pianificata dal governo Biden sull’industria americana dell’automobile elettrica: il presidente americano ha annunciato 2,3 trilioni di investimenti sulle infrastrutture, una cifra superiore al Pil italiano, tanto per avere un riferimento. Il ministro dei Trasporti Pete Buttigieg (sgomitante politico che ambisce alla leadership dei democratici) ha subito fatto i conti. Circa 173 miliardi saranno usati per supportare il settore della mobilità elettrica. Buttigieg ha scritto su Twitter: «Immaginate questo: i lavoratori americani che costruiscono Ev (electric vehicle) di qualità ma accessibili a tutti i consumatori e installano 500 mila stazioni di ricarica» su tutto il territorio degli Stati Uniti. Anche qui un numero di riferimento: le stazioni di servizio per le automobili a benzina sono, negli Usa, meno della metà. Tutto chiaramente con soldi pubblici: sarà la più grande politica keynesiana di supporto all’industria dell’auto elettrica. Le infrastrutture sono da sempre geopolitica (è così dalla via della seta e delle spezie); così diventano anche geopolitica tecnologica. In Europa, a parte qualche fuga individuale dei Paesi nordici, si parla di incentivi fiscali per posizionare le colonnine per la ricarica nei condomini. Esiste un’unica via «elettrica» che collega il Nord Europa al Sud. E, per inciso, si ferma nel Lazio. Si potrebbe discutere a lungo su tutti gli interrogativi legati a questa decisione politica di Biden: 1) Ma le auto elettriche sono sul serio sostenibili con le attuali tecnologie delle batterie? 2) Come viene prodotta tutta questa energia? 3) Il sistema elettrico Usa, famoso per i buchi nella rete e i black out in California dove la Tesla è nata, reggerà? 4) Cosa accadrà all’industria dei car-maker tradizionali? Il piano fungerà da stimolo per riconvertirsi? Buttigieg è un politico: «Questo non è un lontano futuro. È l’American jobs plan». Un pizzico retorico, certo, ma è così che funziona la politica industriale. La si può fare rivolta al passato (decidiamo di sostenere le industrie tradizionali o i modelli che non funzionano, come abbiamo fatto per anni con Alitalia), o al futuro (si cerca di capire quale sarà l’industria del futuro da sostenere). La formula è sempre di Keynes: all’occupazione bisogna sommare le nuove professioni e sottrarre i vecchi lavori, usando i soldi pubblici per la transizione.