la Repubblica, 21 aprile 2021
Quando il cane di Mariotti sfidò Borges
Credo che Giovanni Mariotti sia il più singolare scrittore italiano. Dire italiano non mi sembra fuori luogo, sebbene reciti con grande eleganza la parte di lucchese: Lucca è una città unica, e percorrerla ed attraversarla è un’avventura molto più grande e divertente di conoscere qualsiasi altra città toscana – da Arezzo a Firenze, da Grosseto a Prato. Lucca è assurda, mentre Firenze è ovvia, con i suoi stilnovisti e con Dante Alighieri.
Mariotti è uno scrittore misconosciuto: ha passato molti anni della sua vita in seminario, dove dev’essere stato devotissimo. Ha vissuto a Milano, senza accorgersi di essere a Milano, ma immaginando di scalare le Alpi Apuane. Si è occupato con grande intelligenza di editoria, dirigendo collane geniali insieme a Jorge Luis Borges, che aveva un grande rispetto per lui. Forse ha un nonno cuoco come lui, e continua a fare la cucina per sua madre.
Ha letto moltissimo, per capriccio e svago: ma leggere è sempre stato per lui un’altra cosa – chissà quale. È uno dei due o tre scrittori italiani degni di questo nome. La Storia di Matilde (Anabasi 1993, Adelphi 2003), che ha avuto molto successo, è un capolavoro: più bello di Calvino, di Pavese e di Vittorini. Questo libro sembra un romanzo. Ma la sua vera vocazione è di scrivere pezzi brevi, esattamente come i Petit poèmes en prose di Baudelaire, e di pescare carpe. Non crede nella letteratura: eppure non c’è nessuno che la ami più di lui. Il fatto essenziale è che questo lucchese è uno scrittore cinese. Non è certo un confuciano: una cosa troppo noiosa, vecchia migliaia di anni. Mariotti è un pensatore e un poeta taoista, come dichiara nella dedica del suo capricciosissimo libro Piccoli addii (Adelphi Microgrammi, pagg. 110, euro 5).
Siccome è taoista, le sue reincarnazioni hanno accompagnato affettuosamente anche una gatta e un cane, dal riguardevole pedigree – infatti era un dandy e si chiamava Mr Jones – non solo perché fu salvato dal fango della fattoria della Masone da una squisita stilista come Laura Casalis («milanese, apparteneva a quel tipo di giovani donne un po’ stendhaliane, belle, eleganti e giudiziose, per cui le ragioni del cuore diventano immediatamente operative»), ma perché il suo capriccio si esercitò, nel 1978, come la guerra senza quartiere contro Jorge Luis Borges, allora ospite di Franco Maria Ricci, per la Biblioteca di Babele, al quale Mariotti faceva da provvisoria reincarnazione per il suggerimento dei testi. El baculo del cieco Borges si agitava invano in aria in difesa dall’assedio dell’animale tanto elegante quanto inopportuno che si ritrovava tra i piedi. Finché un giorno, all’ultimo assalto, Borges vacillò, e crollò. O piuttosto si afflosciò, al ralenti. Sopravvisse. Si era rialzato illeso, ma il cane aveva vinto. Prima di sera Borges si trasferì in hotel.
Le avventure di Mr Jones e della gatta di Mariotti si leggono ne La gatta, Borges e il foxterrier (Il labirinto scritto, Franco Maria Ricci, pp. 56, euro 15), che Laura Casalis presenta al lettore sostituendo per la prima volta il marito Franco, e soddisfacendo, come scrive, le “esigenze” del “Galateo della Sopravvivenza”. Contagiata nella vertigine delle reincarnazioni di quei Galatei, e di quelle Sopravvivenze che Franco Maria Ricci ha riprodotto e reinventato instancabilmente – quale fu l’esperienza, per me, di fare rivivere con Ricci, la mia antenata di Fontanellato – Laura Casalis ha appena recuperato la gloriosa FMR, il marchio che Franco sarebbe felice di sapere adesso nelle sue mani fide.
Non c’è reincarnazione, pare, che in questo Labirinto non possa ridiventare felice.