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 2021  aprile 21 Mercoledì calendario

Ricordare il 25 aprile

Mentre il tempo passa, e non soltanto per me ma per tutti in Italia, in Europa e nell’universo mondo, mi è venuto in mente che una parte notevole degli italiani, quando la guerra mondiale era da poco finita, lanciò un motto fondato sulla data di quel gran finale: «Viva l’Italia democratica e liberale del 25 aprile». Me lo ricordo ancora, io avevo poco più di vent’anni e alla Resistenza avevo partecipato assai poco: mi trovavo in Calabria nelle terre di famiglia e la guerra c’era già passata sulla testa e ai fianchi. E tuttavia quel motto che inneggiava a una data era o ci sembrava talmente bello che lo ripetemmo spesso e certamente non da soli ma insieme a gran parte della gioventù italiana che aveva combattuto Hitler e Mussolini.
Ricordiamolo ancora, se vogliamo tener vivo quell’episodio che costò la vita a milioni di uomini ma preparò un futuro che avrebbe dovuto essere molto più felice. Non si può dire che lo sia stato: il mondo continua a soffrire per le sue piaghe di vario genere e tipo; ma accanto ad esse ci sono anche temi positivi sul lavoro, i mestieri, la famiglia, le alleanze e insomma la vita. La vera parola è appunto “vita” e non è cosa da poco dirla: apre orizzonti sterminati e continuamente mutevoli. La storia si fa con la vita: lo scrisse su Repubblica Alberto Asor Rosa e insieme a lui Giorgio Bocca e soprattutto Bernardo Valli.
L’ho scritto anch’io ovviamente e in particolare nel mio Incontro con Io. È un bel tema ed io l’ho trattato in questo libro, pubblicato per la prima volta da Rizzoli nel 1994. È pieno di personaggi, racconti, divinità di vario genere e insomma riguarda l’andamento storico di una civiltà. Il mondo cambia e le persone cambiano con esso, vogliamo parlarne? *** Vale la pena di riportare qui la presentazione del libro che cita scritti di personalità come Pascal, de La Rochefoucauld e Nietzsche. Eccone i rispettivi testi: «Quando considero la piccola durata della mia vita, assorbita dall’eternità che la precede e che la segue, il piccolo spazio che io riempio e che vedo schiacciato dall’infinita immensità degli spazi che ignoro e che mi hanno ignorato, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là e perché nel presente invece che nel passato. Chi mi ci ha messo? Per ordine di chi questo luogo e questo tempo mi è stato destinato?» (Pascal, Pensieri ).
«On aime à deviner les autres, mais l’on n’aime pas à être deviné» (La Rochefoucauld, Les Maximes ).
«Il Dio che io creai era opera e illusione d’un uomo come tutti gli Dei, e di Io: questo spettro crebbe a me dalla mia stessa cenere e brace. Dall’aldilà esso venne» (Nietzsche, Così parlò Zarathustra ).
Gli archetipi come il ricordo inconscio di esperienze primordiali sono il risultato di una modalità di astrazione che la mente conquista nella fase tardo-evolutiva dell’Io. Ricordo ancora la definizione di Gottfried Benn: l’Io è un tardo stato d’animo della natura. In quello stadio che la mente costruisce di archetipi non c’è nulla di inconscio se non la necessità di desumere dal flusso dell’esperienza i punti cardinali che consentano la conoscenza dei fenomeni e i giudizi di valore che vi sono connessi. Altro non è dato all’Io di conoscere. Per andare oltre la conoscenza l’Io dovrebbe abbattere le sue difese, cancellare i confini che lo limitano e limitandolo lo definiscono. Se per conoscere al di là delle rappresentazioni e delle apparenze bisognasse destrutturare l’Io e smantellarne la potenza concentrata, noi saremmo passati da Socrate alle intuizioni e alle visioni degli sciamani e saremmo tornati alla nitida forma di Apollo e alla notturna ebrezza di Dioniso.
È tardi, troppo tardi per ritornare al Dio dei cimbali e dei tamburi. Dio ci sta dentro, ci agita, ci tormenta, canta, urla, spezza le coerenze, insidia l’unità conquistata con tanta fatica e poi fantasmi e poi valanghe e poi miniere ma non è lui che regge le redini, frusta i cavalli e governa il carro.
È tardi, troppo tardi; Zarathustra è sceso per sempre dalla montagna e non predica più. *** Eppure, eppure. Questo è l’Io governante. Lo insidia continuamente il sospetto di essere una finzione o piuttosto una sovrastruttura, un luogo dove si incontrano e dove si esprimono forze sottostanti. Scrive Ingeborg Bachmann in Letteratura come utopia – Lezioni di Francoforte : che cos’è l’Io, che cosa potrebbe essere? Un astro di cui posizione e orbita non sono mai state del tutto individuate e il cui nucleo è composto di sostanze ancora sconosciute. Potrebbe essere questa miriade di particelle che formano un Io ma al tempo stesso l’Io potrebbe essere un nulla, qualcosa di simile ad una sostanza sognata, qualcosa che definisce un’identità sognata. Una forma pura, ecco una definizione che coglie l’essenza di Io come meglio non si potrebbe. Forma pura e anche costruita dal pensiero attraverso processi di sintesi e di astrazione. Dunque non è l’Io che pensa, ma l’Io è pensato. La mente che lo pensa è distinta da Io e Io si desume da una quantità di elementi unificati da un atto di volontà.
La mente pensa Io e se lo calca in testa come uno cimiero, lo adorna di piume colorate, lo nomina e in lui si riconosce e attraverso di lui si fa riconoscere agitando le sue insegne come la miriade di particelle, di elementi, di organi che quell’atto espressivo di volontà ha unificato. *** Tornato ad Itaca il figlio di Laerte non cavalca ippogrifi né canta di tiranni sulla cetra sonora. È devoto ad Atena, la sua rotta è quella del ritorno e il suo timone è il ricordo. Egli può e vuole perdersi in tutti gli arcipelaghi, calcare tutti gli Ellesponti, tutti i labirinti, arrivare fino alla gente che non conosce né i remi né il sale. Ha lasciato Io su un’isola remota, cinta di scogli, fitta di alberi, popolata di gabbiani, biancovolanti; ma a quell’isola è rimasto fedele, a quella scheggia mentale resta aggrappato nonostante i mostri, le tempeste e le Sirene, nonostante i filtri di Circe e l’ira dei Ciclopi.
Quella scheggia di isola custodisce Io e lì tornerà Odisseo, lì ritroverà l’arco di bronzo che solo lui sa tendere; lì riposerà nel letto costruito sulle radici dell’ulivo al centro della casa.
Itaca è Io, il ritorno è Io, la memoria è Io. Fino a quando la mente potrà pensarla la sua avventura avrà il senso che gli darà. Se si scorderà sarà stato una traccia smarrita tra indecifrabili galassie. *** Mi sveglio sempre prima la mattina. Si dice che ai vecchi accade così: i tessuti cominciano a disseccarsi, le linfe e gli umori a impoverirsi e il sonno diventa leggero, aereo, quasi un dormiveglia e un respiro appena più regolare.
Il risveglio dei giovani è pigro, lentissimo e pesante perché pesante è il loro sonno e densi gli umori, la carne, i liquidi che il loro corpo secerne durante il riposo. Dormono abbracciati ai cuscini, supini o di traverso, posseduti da quello straniamento da cui al momento del risveglio si strappano con fatica, come ebbri scacciati quasi a forza da un perduto paradiso di beata oscurità immemoriale.
Ma il sonno dei vecchi è di tutt’altra natura. Dormono come i passeri, le loro ossa si sono fatte lievi, i muscoli si sono affinati, la cute è sottile e secca come carta velina e il corpo, mentre si muove nel letto, è quasi sonoro come le canne d’un organo quando le sfiori col dorso della mano.
Escono dal sonno, il cervello torna a funzionare senza opacità, le tessere della memoria e delle concatenazioni si ripresentano implacabilmente e li spingono fuori dal letto, reclamando un movimento fisico che interrompa il loro riposo. Il vecchio è consapevole del suo corpo. Ne segue e ne prevede il declino, ne sente la fragilità ma lo possiede e riesce a governarlo in ogni sua parte. Questa è la salute del vecchio ed è forse la stagione più piena della sua vita. Poco dopo tutto sarà rovina. Dunque possiediti con esperta allegria, uomo, ora che finalmente puoi farlo senza più il peso greve di doverti aprire il passo nei giorni che verranno.
«Generazione che va, generazione che viene E la terra nel suo cielo rimane.
E sorge il sole e il sole tramonta, anelando al suo luogo dov’egli risorge...
Non c’è più ricordo delle cose passate come non ci sarà di quelle a venire presso coloro che dopo vivranno».
(Ecclesiaste)
Dunque possiediti con esperta allegria, uomo, ora che finalmente puoi farlo senza più il peso greve di doverti aprire il passo nei giorni che verranno